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È in cantiere un decreto legge che permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni di detenuti di alta sicurezza e al regime di 41 bis». La notizia più importante il ministro della Giustiza Alfonso Bonafede la riserva per la fine del suo intervento alla Camera. È in Aula il Guardasigilli per rispondere per rispondere all’interrogazione, presentata dal deputato di Forza Italia Pierantonio Zanettin, sullo “scontro” in atto tra via Arenula e il magistrato Nino Di Matteo sulla nomina del Capo del Dap del giugno 2018. Bonafede risponde colpo su colpo alle accuse mosse dalle opposizioni e alle «illazioni» sul suo operato avanzate in tv proprio dall’ex pm palermitano. Ma alla fine cede alle pressioni interne ed esterne al suo partito, il Movimento 5 Stelle, e annuncia la retromarcia. I 376 detenuti per mafia beneficiari delle misure alternative a causa dell’emergenza covid torneranno in galera. Oltre la metà di loro, 196, non ha ancora una condanna definitiva. Anzi, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di detenuti in attesa del giudizio di primo grado.Bonafede, dunque, torna sui suoi passi per non finire impallinato in Aula ( a breve potrebbero arrivare mozioni di sfiducia nei suoi confronti dalle opposizioni ma anche da Italia Viva) ma prima prova a togliersi qualche sassolino dalla scarpa. «Nel giugno 2018 non vi fu alcuna interferenza, diretta o indiretta, nella nomina del capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria», scandisce a Montecitorio, nel tentativo di confutare una volta per tutte il “teorema Di Matteo”, secondocui il Guardasigilli avrebbe scelto un altro magistrato alla guida del Dap dopo la «reazione di importantissimi capimafia» alla notizia di un possibile arrivo del pm della “Trattativa”. «Ogni ipotesi o illazione emersa in questi giorni è del tutto campata in aria», spiega Bonafede, «perché, come emerso dalla ricostruzione temporale dei fatti, le dichiarazioni di alcuni boss erano già note al ministero dal 9 giugno 2018 e quindi ben prima di ogni interlocuzione con il diretto interessato». Il ministro definisce poi «surreale» il dibattito di questi giorni, anche se per attaccare deve difendersi. E ribadire alcuni concetti già espressi nelle ore precedenti. A Di Matteo Bonafede avrebbe voluto affidare «o il vertice dell’amministrazione penitenziaria oppure un ruolo che fosse in qualche modo equivalente alla posizione ricoperta a suo tempo da Giovanni Falcone, a seguito di riorganizzazione», cioè il direttore degli Affari penali del ministero. E per l’inquilino di Via Arenula, proprio questo secondo incarico calzava a pennello per il pm antimafia, anche «perchè avrebbe consentito al dottor Di Matteo di lavorare in via Arenula, al mio fianco».Il Guardasigilli pulisce gli schizzi di fango arrivati in questi giorni, nella convinzione di non dover dimostrare a nessuno il suo impegno contro le mafie. «La linea della mia azione da ministro è stata, è, e sempre sarà improntata alla massima determinazione nella lotta alla mafia», continua in Aula. «Basta semplicemente scorrere ogni parola di ogni legge che ho portato all’approvazione in questi due anni, dalla Spazzacorrotti fino all’ultimo decreto legge che impone il coinvolgimento della Direzione nazionale e delle Direzioni distrettuali antimafia sulle richieste di scarcerazione». E infine mete in chiaro la supremazia della politica sulle chiachciere: «Anche con riferimento alla recente nomina del nuovo Capo Dipartimento, ho seguito mie valutazioni personali nella scelta, la cui discrezionalità rivendico».Ma alle opposizioni la risposta del ministro non basta. Lega e Fratelli d’Italia chiedono maggiori chiarimenti a Bonafede, mentre per Forza Italia è il responsabile “Giustizia” Enrico Costa a replicare in Aula. «Nel premettere che noi consideriamo inappropriato che un membro del Csm utilizzi una trasmissione televisiva per accusare il Guardasigilli di essersi piegato alla mafia», dice il deputato azzurro, «il ministro della Giustizia ha una responsdiretta o iabilità grande come una casa: aver legittimato, coccolato e rafforzato personaggi che mettono sotto i piedi le garanzie, la presunzione di innocenza, che usano i mass media per rafforzare la loro immagine e le loro inchieste, che sparano a zero sulle istituzioni e sui loro rappresentanti», è l’ammonizione.Ma il passo indietro del ministro sulle misure alternative fa tirare un sospiro di sollievo al capo politico del Movimento, che in mattinata aveva annunciato, ben prima di Bonafede, il provvedimento “correttivo”. La linea Di Matteo ha avuto comunque la meglio.