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Ebru Timtik
«Non so se hanno fatto bene a entrare in sciopero della fame, ma sono sicura che avrebbero dovuto essere salvati dalle autorità». Queste le parole di Barkim Timtik, la sorella minore di Ebru Timtik, l’avvocata e attivista dei diritti umani che morì nell’agosto del 2020 dietro le sbarre del carcere di Silviri dopo 238 giorni di sciopero della fame. Una vicenda che profondamente scosse l’opinione pubblica internazionale. Bakrim oggi chiede per sé e per gli altri avvocati imputati un processo giusto dove possa essere esercitato il diritto di difesa. Barkim si riferiva non solo allo sciopero della fame di Ebru e del collega Aytac Unsal, ma anche a quello di altri venti avvocati difensori morti allo stesso modo negli ultimi anni nelle prigioni turche. Mercoledì a Istanbul ha aperto i battenti il processo di rinvio dalla Cassazione per Barkim Timkit e per Selciuk Kosaacli, presidente dell'associazione CHD che, al pari di altri sedici avvocati devono difendersi da accuse pesantissime come quella di essere dei fiancheggiatori del Pkk, il partito dei lavoratori curdo sulla lista nera del regime come organizzazione terroristica. La sala d'udienza, piuttosto piccola, era però strapiena con circa centocinquanta avvocati che sono venuti in tribunale per esprimere la loro solidarietà ai colleghi detenuti. Per l’occasione sono presenti nell’aula giudiziaria più di venti osservatori internazionali (di cui due italiani) provenienti da tutti i paesi d’ Europa. La discussione ha ruotato quasi esclusivamente sulla opportunità di rimettere in libertà, dopo cinque anni di detenzione preventiva (ma per i reati di terrorismo il termine legale aumenta a sette anni di custodia cautelare) gli avvocati alla sbarra e sull'inconsistenza dell'impianto accusatorio denunciata dagli imputati, molti dei quali rinviati a giudizio unicamente in quanto legali di persone accusate di eversione o di terrorismo. Dopo diverse ore di concitata discussione, la Corte ha deciso semplicemente di rinviare le udienze al 17 novembre prossimo. Dopo il primo giorno di discussioni però sono piuttosto pessimisti gli animi dei colleghi difensori turchi, convinti che le pressioni politiche e governative sull’operato della magistratura turca saranno fortissime per giungere a una condanna. Staremo a vedere.