L’Italia, nel ’ 92-’ 94, fu teatro di un’autentica rivoluzione- eversione che eliminò dalla scena per via mediatico-giudiziaria ben 5 partiti politici “storici”, salvando però il Pci. Lo strumento di questa rivoluzione- eversione fu la “sentenza anticipata”: quando un avviso di garanzia, urlato da giornali e televisioni, colpiva i dirigenti di quei partiti essi erano già condannati agli occhi dell’opinione pubblica.  Qualora il pool di Mani Pulite avesse agito con la stessa determinazione e violenza negli anni 40 e 50 di quella messa in evidenza nel ’ 92-’ 94, allora De Gasperi, Nenni, Togliatti sarebbero stati incriminati e Valletta e Enrico Mattei sarebbero stati arrestati.

Il finanziamento irregolare dei partiti e la collusione fra questi, i grandi gruppi pubblici e privati e relative associazioni ( in primis Fiat, Iri, Eni, Montecatini, Edison, Assolombarda, Cooperative rosse, ecc.) data da allora. In più c’era un fortissimo finanziamento internazionale: la Dc era finanziata anche dalla Cia, e il Pci in modo così massiccio dal Kgb che le risorse ad esso destinate erano più di tutte quelle messe in bilancio per gli altri partiti e movimenti. In una prima fase, la Fiat finanziava tutti i partiti “anticomunisti” poi coinvolse in qualche modo anche il Pci quando realizzò i suoi impianti in Urss.

Per Enrico Mattei i partiti erano come dei taxi, per cui finanziava tutti, dall’Msi, alla Dc, al Pci, e perfino la scissione del Psiup dal Psi, e fondò anche una corrente di riferimento nella Dc con Albertino Marcora, partigiano cattolico e grande leader politico: quella corrente fu la sinistra di Base che ha avuto un ruolo assai importante nella Dc e nella storia della Repubblica.

Fino agli anni 80 questi sistemi di finanziamento irregolare procedettero “separati” vista la divisione del mondo in due blocchi, poi ebbero dei punti in comune: nell’Enel ( attraverso il consigliere d’amministrazione Giovanni Battista Zorzoli prima titolare di Elettro General), nell’Eni ( la rendita petrolifera di matrice sovietica) e specialmente in Italstat ( dove veniva realizzata la ripartizione degli appalti pubblici con la rotazione “pilotata” fra le grandi imprese edili, pubbliche e private, con una quota fra il 20% e il 30% assegnata alle cooperative rosse).

Per molti aspetti quello del Pci era il finanziamento irregolare a più ampio spettro, perché andava dal massiccio finanziamento sovietico al commercio estero con i Paesi dell’est, alle cooperative rosse, al rapporto con gli imprenditori privati realizzato a livello locale. Emblematici di tutto ciò sono le citazioni da tre testi: un brano tratto dal libro di Gianni Cervetti L’oro di Mosca ( pp. 126- 134), un altro tratto dal libro di Guido Crainz Il paese reale ( Donzelli, p. 33), il terzo estratto è da una sentenza della magistratura di Milano sulla vicenda della metropolitana.

Così ha scritto Gianni Cervetti: «Nacque, credo allora, l’espressione “amministrazione straordinaria”, anzi “politica dell’amministrazione straordinaria”, che stava appunto a indicare un’attività concreta ( nomina sunt substantia rerum) anche se piuttosto confusa e differenziata. A ben vedere, poteva essere suddivisa in due parti. Una consisteva nel reperire qualche mezzo finanziario per il centro e le organizzazioni periferiche facendo leva su relazioni con ambienti facoltosi nella maniera sostanzialmente occulta cui prima ho accennato. In genere non si compivano atti specifici contro le leggi o che violavano norme amministrative precise, ma si accettavano o ricercavano finanziamenti provenienti da imprenditori non più soltanto vagamente facoltosi, ma disposti a devolvere al partito una parte dei loro profitti in cambio di un sostegno a una loro determinata attività economica. Tuttavia, in sistemi democratici, o pluripartitici, o a dialettiche reali - siano essi sistemi moderni o antichi, riguardanti tutto il popolo o una sola classe - pare incontestabile che in ogni partito coesistano i due tipi di finanziamento ed esista, dunque, quello aggiuntivo.

Naturalmente - lo ripetiamo - di quest’ultimo, come del resto del primo, mutano i caratteri, le forme ed i contenuti a seconda dei partiti e dei periodi: anzi mutano i rapporti quantitativi dell’uno con l’altro, ma appunto quello aggiuntivo esiste in maniera costante. Comunque sia non c’è epoca, paese, partito che non abbia usufruito di fondi per i finanziamenti aggiuntivi. Sostenere il contrario significa voler guardare a fenomeni storici e politici in maniera superficiale e ingenua, o viceversa, insincera e ipocrita. Il problema, ripetiamo, lo abbiamo preso alla larga, e si potrebbe allora obiettare che aggiuntivo non corrisponda esattamente, e ancora, a illecito. Intanto, però, abbiamo dimostrato che il finanziamento aggiuntivo è storicamente dato e oggettivamente ineluttabile».

Il fatto che anche il Pci, sviluppando la «politica dell’amministrazione straordinaria», accettava o ricercava finanziamenti provenienti da imprenditori «non più soltanto vagamente facoltosi ma disposti a devolvere al partito una parte dei loro profitti in cambio di un sostegno a una loro determinata attività economica» mette in evidenza che anche «nel caso del Pci il reato di finanziamento irregolare poteva sfociare in quello di abuso in atti d’ufficio o in corruzione o in concussione».

Così ha scritto lo storico Guido Crainz: «È uno squarcio illuminante il confronto che si svolge nella direzione del Pci nel 1974, quando è all’esame del parlamento la legge sul finanziamento pubblico ai partiti. La discussione prende l’avvio dalla “esistenza di un fenomeno enorme di corruzione dei partiti di governo” ma affronta al tempo stesso con grande preoccupazione il pur periferico affiorare di “imbarazzi o compromissioni venute al nostro partito da certe pratiche”. L’approvazione della legge è esplicitamente giustificata con la necessità di garantirsi “una duplice autonomia…: autonomia internazionale ma anche da condizionamenti di carattere interno…. Non possiamo nasconderci fra noi il peso di condizionamenti subiti anche ai fini della nostra linea di sviluppo economico e, per giunta, per qualcosa di estremamente meschino” ( intervento di Giorgio Napolitano alla riunione della direzione del 3 giugno 1974)».

«Nel dibattito non mancano ammissioni di rilievo. “Molte entrate straordinarie”, dice ad esempio il segretario regionale della Lombardia Quercioli, “derivano da attività malsane. Nelle amministrazioni pubbliche prendiamo soldi per far passare certe cose. In questi passaggi qualcuno resta con le mani sporche e qualche elemento di degenerazione poi finisce per toccare anche il nostro partito” ( intervento di Elio Quercioli nella riunione della direzione del 1° febbraio 1973). È possibile cogliere in diversi interventi quasi un allarmato senso di impotenza di fronte al generale dilagare del fenomeno: di qui la decisione di utilizzare la legge per porre fine a ogni coinvolgimento del partito. Si deve sapere, dice armando Cossutta, “che in alcune regioni ci sono entrate che non sono lecite legittimamente, moralmente, politicamente. Questo sarà il modo per liberare il partito da certe mediazioni. Non chiudere gli occhi di fronte alla realtà ma far intendere agli altri che certe operazioni noi non le accetteremo più in alcun modo. Punto di riferimento deve essere l’interesse della collettività e faremo scandalo politico e una battaglia contro queste cose assai più di prima” ( intervento di Armando Cossutta alla direzione del 3 giugno 1974). È illuminante, questa sofferta discussione del 1974. Rivela rovelli veri e al tempo stesso processi cui il partito non è più interamente estraneo».

La sentenza del tribunale di Milano del 1996 sulle tangenti della Metropolitana è molto precisa: «Va subito fissato un primo punto fermo: a livello di federazione milanese, l’intero partito, e non soltanto alcune sue componenti interne, venne direttamente coinvolto nel sistema degli appalti Mm, quanto meno da circa il 1987». Per il tribunale «risulta dunque pacifico che il Pci- Pds dal 1987 sino al febbraio 1992 ricevette quale percentuale del 18,75 per cento sul totale delle tangenti Mm una somma non inferiore ai 3 miliardi» raccolti da Carnevale e da Soave, non solo per la corrente migliorista ma anche per il partito. Carnevale coinvolse anche il segretario della federazione milanese, Cappellini, berlingueriano di stretta osservanza: «Fu Cappellini, segretario cittadino dell’epoca, ad affidarmi per conto del partito l’incarico che in precedenza aveva svolto Soave». La regola interna era quella che «dei tre terzi delle tangenti raccolte ( 2 miliardi e 100 milioni in quel periodo solo per il sistema Mm), due terzi dovevano andare agli “occhettiani”, cioè a Cappellini, un terzo ai miglioristi di Cervetti».

Alla luce di tutto ciò è del tutto evidente che Berlinguer quando aprì la questione morale e parlò del Pci come di un “partito diverso” o non sapeva nulla del finanziamento del Pci oppure, per dirla in modo eufemistico, si espresse in modo mistificato e propagandistico.

Orbene questo sistema dal quale ricevevano reciproco vantaggio sia i partiti, sia le imprese, e che coinvolgeva tutto e tutti, risultò antieconomico da quando l’Italia aderì al trattato di Maastricht e quindi tutti i gruppi imprenditoriali furono costretti a fare i conti con il mercato e con la concorrenza. Esistevano tutti i termini per una grande operazione consociativa, magari accompagnata da un’amnistia che superasse il sistema di Tangentopoli. L’amnistia ci fu nel 1989, ma servì solo a “salvare” il Pci dalle conseguenze giudiziarie del finanziamento sovietico, il più irregolare di tutti, perché proveniva addirittura da un paese contrapposto alle alleanze internazionali dell’Italia. Per altro verso, Achille Occhetto, quando ancora non era chiaro l’orientamento unilaterale della procura di Milano, nel maggio del ’ 92, si recò nuovamente alla Bolognina per “chiedere scusa” agli italiani. Occhetto invece non doveva preoccuparsi eccessivamente. Il circo mediatico- giudiziario composto da due pool, quello dei pm di Milano e dal pool dei direttori, dei redattori capo e dei cronisti giudiziari di quattro giornali ( Il Corriere della Sera, La Stampa, La Repubblica, l’Unità) mirava contro il Caf, cioè concentrò i suoi colpi in primis contro il Psi di Craxi, poi contro il centro- destra della Dc, quindi, di rimbalzo, contro il Psdi, il Pri, il Pli. Colpì anche i quadri intermedi del Pci- Pds, molte cooperative rosse, ma salvò il gruppo dirigente del Pci-Pds e quello della sinistra Dc. La prova di ciò sta nel modo con cui fu trattato il caso Gardini: è accertato che Gardini portò circa 1 miliardo, d’intesa con Cusani, alla sede del Pci avendo un appuntamento con Occhetto e D’Alema. Suicidatosi Gardini, Cusani è stato condannato per corruzione: il corrotto era dentro la sede di via delle Botteghe Oscure, ma non è mai stato identificato. Ha osservato a questo proposito Di Pietro: «Ecco, questo è l’unico caso in cui io arrivo alla porta di Botteghe oscure. Anzi, arrivo fino all’ascensore che porta ai piani alti… abbiamo provato di certo che Gardini effettivamente un miliardo lo ha dato; abbiamo provato di certo che l’ha portato alla sede di Botteghe oscure; abbiamo provato di certo che in quel periodo aveva motivo di pagare tangenti a tutti i partiti, perché c’era in ballo un decreto sulla defiscalizzazione della compravendita Enimont a cui teneva moltissimo». Di Pietro aggiunse: «Non è che potevo incriminare il signor nome: partito, cognome: comunista». Giustamente l’erede di quel partito, il Pds, lo elesse nel Mugello.

Al processo Enimont il presidente del tribunale neanche accettò di sentire Occhetto e D’Alema come testimoni. Analoga linea fu seguita nei confronti del gruppo dirigente della sinistra Dc: Marcello Pagani, ex coordinatore della sinistra democristiana, e di un circolo che ad essa faceva riferimento, fu condannato, avendo ricevuto soldi Enimont in quanto agiva, recita testualmente, la sentenza «per conto dell’onorevole Bodrato e degli altri parlamentari della sinistra Dc» ma essi potevano non sapere. Quella fu la grande discriminante attraverso la quale il circo mediatico- giudiziario spezzò il sistema politico, ne distrusse una parte e ne salvò un’altra: Craxi, il centrodestra della Dc ( Forlani, Gava, Pomicino e altri), Altissimo, Giorgio la Malfa, Pietro Longo, non potevano non sapere, il gruppo dirigente del Pci- Pds e quello della sinistra Dc potevano non sapere.

È evidente che dietro tutto ciò c’era un progetto politico, quello di far sì che, venendo meno la divisione in due blocchi, il gruppo dirigente del Pds, magari con l’aiuto della sinistra Dc, finalmente conquistasse il potere. Il pool di Milano non poteva prevedere che, avendo distrutto tutta l’area di centro e di centro- sinistra del sistema politico, quel vuoto sarebbe stato riempito da quel Silvio Berlusconi che, pur essendo un imprenditore amico di Craxi, era stato risparmiato dal pool di Mani Pulite perché durante gli anni ’ 92-’ 94 aveva messo a disposizione della procura le sue televisioni. Non appena ( fino al 1993) il pool di Milano si rese conto che Berlusconi stava “scendendo in politica”, ecco che subito cominciò contro di lui il bombardamento giudiziario che si concluse con la sentenza del 2013. Ma anche il modo con cui fu trattato il rapporto del pool con i grandi gruppi finanziari editoriali Fiat e Cir, fu del tutto atipico e al di fuori di una normale prassi giudiziaria. Per tutta una fase ci fu uno scontro durissimo tra la Fiat e la magistratura, accentuato dal fatto che a Torino il procuratore Maddalena agiva di testa sua. Poi si arrivò alla “pax” realizzata attraverso due “confessioni” circostanziate, attraverso le quali la Fiat e la Cir appunto “confessarono” di aver pagato tangenti perché concussi da quei “malvagi” dei politici. Così il 29 settembre del 1992 Cesare Romiti andò a recitare un mea culpa dal cardinale Martino: «Come cittadini e come imprenditori non ci si può non vergognare, di fronte alla società, per quanto è successo. E io sono il primo a farlo. Io sono stato personalmente scosso da questi avvenimenti. No, non ho paura di dirlo. E di fronte al cardinal Martini, la più alta carica religiosa e morale di Milano, non potevo non parlarne». Qui interveniva l’autoassoluzione. Infatti, secondo Romiti, la responsabilità era della classe politica che «ha preteso da cittadini e imprese i pagamenti di “compensi” per atti molto spesso dovuti».

 

Possiamo quindi dire che l’Italia, unico paese dell’Occidente, nel ’ 92-’ 94 fu teatro di un’autentica rivoluzione- eversione che eliminò dalla scena per via mediatico- giudiziaria ben 5 partiti politici “storici”. Lo strumento di questa rivoluzione- eversione fu la “sentenza anticipata”: quando un avviso di garanzia, urlato da giornali e televisioni, colpiva i dirigenti di quei partiti essi erano già condannati agli occhi dell’opinione pubblica, con una conseguente perdita di consensi. Il fatto che, a 10 anni di distanza, una parte di quei dirigenti fu assolta non servì certo a recuperare i consensi politicoelettorali perduti. La conseguenza di tutto ciò sono state due: una perdita crescente di prestigio di tutti i partiti, anche di quelli che furono “salvati” dal pool, una parcellizzazione della corruzione tramutatasi da sistemica a reticolare ( una miriade di reti composte da singoli imprenditori, singoli burocrati, singoli uomini politici), l’esistenza di un unico sistema di potere sopravvissuto, quello del Pci- Pds, che a sua volta ha prodotto altre vicende, dal tentativo di scalata dell’Unipol alla Bnl, alla crisi del Mps. Di qui la conseguente affermazione di movimenti populisti e di un partito protestatario la cui guida è concentrata nelle mani di due persone, il crescente discredito del parlamento sottoposto a un bombardamento giudiziario realizzato anche da chi ( vedi Renzi) pensa in questo modo di poter intercettare a suo vantaggio la deriva dell’antipolitica. Ma è una operazione del tutto velleitaria, perché le persone preferiscono la versione originale del populismo e non le imitazioni. Perdipiù i grillini, cavalcando la guerra alla “casta” - inventata da due giornalisti del Corriere della Sera e sostenuta da un grande battage pubblicitario - cavalcano di fatto la manovra diversiva posta in essere da banchieri e manager, proprietari dei grandi giornali, per deviare l’attenzione dalle loro spropositate retribuzioni e liquidazioni: i circa 100 mila euro annui dei parlamentari servono a far dimenticare i 2- 3 milioni di euro che il più straccione dei banchieri guadagna comunque, anche se porta alla rovina i correntisti della sua banca. Di tutto ciò traiamo la conseguenza che il peggio deve ancora arrivare.