PHOTO
Gilberto Cavallini è stato condannato all’ergastolo per la strage di Bologna. L’ex appartenete ai Nuclei armati rivoluzionari ( Nar), 67 anni, era imputato di concorso in strage. Secondo la procura di Bologna fornì supporto logistico agli esecutori materiali della strage del 2 agosto 1980. Già condannato a diversi ergastoli per banda armata e per gli omicidi commessi tra il 1979 e il 1981( di cui è reo confesso), dopo 37 anni di reclusione si trova ora in semilibertà.
«Ho meritato condanne – ha detto ieri Cavallini prima della sentenza -. Ma non accetto di dover pagare quello che non ho fatto, sia in termini carcerari sia di immagine. Tutto quello che abbiamo fatto come Nar lo abbiamo fatto alla luce del sole, a viso scoperto, rivendicando ogni azione. Ci siamo resi conto che quello che abbiamo fatto è stato inutile o comunque sbagliato». Per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 che causò 85 morti e 200 feriti, sono condannati in via definitiva gli altri ex Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, quest’ultimo 17enne all’epoca della strage. Da sottolineare che il coinvolgimento di Ciavardini avvenne dopo la testimonianza del discutibile Angelo Izzo, arrestato nel 1975 per il massacro del Circeo.
Si sono sempre dichiarati innocenti, pur avendo apertamente rivendicato vari altri omicidi di quegli anni. È una vicenda giudiziaria complicata, lenta e discussa, quella per l’individuazione delle responsabilità dell’orrenda strage di Bologna. Vari i gradi di giudizio che si sono succeduti: si comincia nel 1987, poi l’appello nel 1990 che ribalta il verdetto di primo grado assolvendo tutti gli indagati, finché solo il 23 novembre 1995 si giunge ad una sentenza definitiva della Corte di Cassazione.
Alla fine vengono condannati all'ergastolo, quali esecutori dell'attentato, gli ex Nar Fioravanti e Mambro. Vengono invece condannati a 10 anni, per il depistaggio delle indagini, l'ex capo della loggia massonica “P2” Licio Gelli, l'ex agente del Sismi Francesco Pazienza e i due alti ufficiali Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, rispettivamente generale e colonnello del servizio segreto militare.
Il caso paradossale vuole che il depistaggio consistesse nell’aver divulgato alcune informative, con le quali avevano fatto credere che la strage del 2 agosto 1980 era attribuibile ad alcune organizzazioni terroristiche: al fine di fornire un appagante riscontro a tale ipotesi avevano fatto ricorso al temerario espediente di collocare sul treno Taranto- Milano, una valigia contenente lo stesso esplosivo che era stato impiegato per la strage di Bologna, un mitra Mab, un fucile a canne mozze, e due biglietti aerei intestati a cittadini stranieri: si ipotizzò che quei biglietti erano stati acquistati a Bari, da un appartenente ai Nar, Giorgio Vale, ma tale ipotesi fu ben presto accantonata, perché rivelatasi anch'essa artificiosamente costruita. Quindi la condanna fu per un depistaggio che portavano in qualche modo sempre ai Nar.
La condanna per la strage si regge soprattutto sulla testimonianza di Massimo Sparti, un ex appartenente alla banda della Magliana. Interessante l'evento cronologico dei fatti: il 9 aprile 1981 Sparti viene arrestato, due giorni dopo inizia a testimoniare e già il 3 marzo 1982 è dimesso dal carcere di Pisa perché i medici carcerari gli hanno diagnosticato un tumore al pancreas e pochi giorni di vita. Visse per altri 23 anni.