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I prof capitanati da Giorgio Spangher tornano a criticare la norma sulla improcedibilità
«Tutto va colto nell’equilibrio. Senza trionfalismi. E senza illudersi che la giustizia tornerà esattamente al punto in cui era prima del covid». Giorgio Spangher, professore emerito di Diritto penale alla Sapienza, è ascoltato dall’avvocatura quasi come un oracolo.
Giustamente, per l’esperienza, per l’acutezza della visione, per la rapidità nel trovare significati nascosti tra le pieghe delle norme.
Ma Spangher invita appunto a cogliere tutti i frutti positivi delle correzioni sul processo da remoto, incluse le aperture su un futuro più tecnologico: «È stata accantonata l’idea di un diritto di difesa attenuato dalla telematica, ma nello stesso tempo proprio la tecnologia introduce un’opportunità di sburocratizzare che va preservata».
La giustizia è funzione irrinunciabile della democrazia anche durante un’epidemia epocale: ora si è anche ribadito il principio per cui va sempre esercitata nel rispetto delle garanzie?
Direi proprio di sì. Si è affermato con chiarezza tale principio. Ma lo si è affermato nella ragionevolezza. Credo si debbano considerare alcuni dettagli del decreto Intercettazioni, forse sottovalutati. Ad esempio la norma secondo cui una deliberazione in camera di consiglio non può svolgersi da remoto, nella fase 2 che inizierà il 12 maggio ed è stata prorogata fino al 31 luglio, se la discussione finale si era tenuta nell’aula di tribunale. Viene così riconosciuta l’oggettiva e razionale necessità dello svolgimento non virtuale dell’attività giudiziaria in determinate circostanze. Forse la sola forzatura, in tal senso, può essere la previsione per cui il giudice civile deve operare fisicamente dal suo ufficio anche quando le parti si collegano da remoto. Dopodiché vedo molti segni di un razionale ritorno alla normalità.
Quali sono i più incoraggianti?
Anche grazie all’ordine del giorno votato alla Camera, si è giustamente stabilita la necessità di conservare l’aula fisica per l’attività probatoria, per l’esame del teste o del perito. C’è la ricordata norma sulle camere di consiglio e ce n’è ancora un’altra che concede non solo al ricorrente ma anche al pg la possibilità di chiedere la discussione in presenza nei giudizi di Cassazione. È appunto il riconoscimento, importante, di quell’oggettiva funzionalità del ritorno nelle aule e della discussione orale immediata. Però c’è anche qualche limite non superato.
A cosa si riferisce?
Alle udienze di convalida del fermo o dell’arresto, che potranno tenersi da remoto: forse sarebbe stato necessario segnalare la disfunzionalità di questa previsione, che limita soprattutto la libertà della persona accusata. D’altra parte proprio tali attività hanno prodotto performance abbastanza insoddisfacenti da favorire il ripensamento del governo. Poi si è schierata, con l’avvocatura, anche la dottrina. A remare contro l’udienza da remoto ci sono anche problemi di riserva di legge tutt’altro che irrilevanti. Così come c’erano le serie questioni di privacy rilevate dal garante.
Alcune componenti dell’Anm ora puntano il dito contro l’avvocatura: sarà colpa della vostra avversione al processo a distanza, dicono, se le udienze non si terranno affatto, vista la mancanza di sicurezza per la salute.
Non ci si deve mettere su una strada del genere. Da una parte i magistrati che accusano gli avvocati di paralizzare tutto. Dall’altra gli avvocati convinti che si terranno solo i processi selezionati da giudici e pm. Non credo che avverrà davvero, al di là di qualche singolo sporadico caso. Ora si tratta di scollinare un momento difficile.
I rischi per la salute potrebbero attrarre più risorse per la giustizia?
Sì, ma soprattutto potranno incentivare la sburocratizzazione attraverso la tecnologia. Alcune norme appena introdotte dal decreto Intercettazioni vanno proprio in tale direzione. Penso ai nuovi paragrafi aggiunti al 12-quater del Dl Cura Italia, che prevedono depositi e comunicazioni telematiche, nel penale, per difensore, pm e polizia giudiziaria. Ecco, qui vedo il senso di quanto detto all’inizio: non sarà più come prima.
È il lascito positivo dei rimedi tecnologici escogitati nell’emergenza.
Sì, usciamo dall’emergenza, e attraverso le scelte che i capi degli uffici adotteranno dal 12 maggio in poi si procederà gradualmente verso un ritorno alla normalità. Ma non sarà la normalità del passato. Si tratta di uno scenario nuovo, con un uso più ampio della tecnologia. Vorrei che si considerasse un altro dettaglio, contenuto nella parte del decreto 28 che rinvia l’entrata in vigore delle norme sulle intercettazioni: slitta tutto al 1° settembre tranne le norme sull’accesso da remoto all’archivio riservato, possibile anche per il difensore, che il guardasigilli Bonafede ha giustamente voluto mantenere come vigenti dal 1° maggio. L’ennesima conferma che anche per il processo penale entriamo in una fase nuova, con meno burocrazia, uso più ampio degli strumenti telematici, senza comprimere l’esercizio del diritto di difesa.
Nella dialettica sul processo da remoto gli avvocati hanno avuto un ruolo importante: il loro rilievo politico si è rafforzato?
Sì, ma nella misura in cui è emersa ancora una volta la necessità di far comprendere all’opinione pubblica la forza delle proprie argomentazioni. Perché è la possibilità di ottenere un consenso diffuso che costringe poi la politica ad accogliere le richieste degli avvocati. Non era avvenuto, purtroppo, con la battaglia sulla prescrizione. Stavolta si è invece riusciti a far passare i rischi di un processo svolto con modalità inadeguate. Sarà sempre così: avvocatura e magistratura dovranno sforzarsi di proporre iniziative coerenti con la natura della giurisdizione, che è servizio ai cittadini. Solo in questo modo riusciranno a convincerli e a rendere inevitabili le conseguenti scelte della politica.