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Sea Watch alla fonda
«Ho deciso di entrare nel porto di Lampedusa. So cosa rischio, ma i 42 salvati sono esausti. Ora la porto al sicuro».
Sono le 13.50 quando il capitano Carola Rackete, al timone della Sea Watch 3, decide di forzare il blocco virando verso Lampedusa.
«Non per provocazione, ma per necessità», ha spiegato, assumendosi tutta la responsabilità della sua scelta.
Migranti disperati
Ha fatto il suo ingresso da levante, navigando verso Punta Sottile, con a bordo le persone salvate due settimane fa.
Disperate dopo il rifiuto della Cedu di forzare il governo italiano ad autorizzare lo sbarco.
Una forzatura che Strasburgo non si è sentita di avallare, trovandosi la nave fuori dalle acque italiane.
Raccolta di fondi
Ma incurante della multa - per la quale è partita una raccolta fondi supportata anche da Luca Casarini, capo misisone della “Mediterranea” - e del sequestro della nave, Rackete ha deciso di avvicinarsi alla costa, mettendo fine ad un viaggio che sembrava infinito.
Ong nemico pubblico
A scortare la nave c’erano le motovedette della Guardia di Finanza, che hanno intimato l’alt, senza però ottenere alcun risultato.
La colpa dei migranti, rifiutati dall’Italia, è essere stati soccorsi da una ong, nemico pubblico numero uno per Salvini, che invoca la difesa dei confini nazionali.
Che, nonostante la campagna elettorale perenne, vengono costantemente violati: solo negli ultimi giorni sono stati più di 400 i migranti arrivati tra Calabria e Sicilia, senza che ciò fosse impedito.
E sempre ieri, un peschereccio siciliano, tirando su le reti a 25 miglia dalle coste di Agrigento, ha trovato il corpo di un migrante impigliato.
A riprova che i morti in mare, anziché essere diminuiti, vengono semplicemente ignorati.
Italia opzione obbligata
In serata, le autorità italiane sono salite a bordo della nave, controllando il mezzo ed i passaporti dell'equipaggio.
L’ingresso nelle acque italiane, afferma Johannes Bayer, presidente di Sea- Watch, era l’unica opzione «per garantire la sicurezza dei nostri ospiti i cui diritti di base sono stati violati abbastanza a lungo».
Tra i migranti a bordo, salvati il 12 giugno da un gommone a largo della Libia, spiega Haidi Sadik, mediatore culturale della ong, ci sono persone che «hanno attraversato orrori in Libia, che sono stati pesantemente torturati, ma anche se non fosse così, chiunque sia stato salvato in mare, per legge deve essere portato in un luogo sicuro».