PHOTO
Alexei Navalny
Repressione camuffata da giustizia. Nella Russia di Putin le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno, così come l’eliminazione del dissenso e la punizione esemplare per chi osa mettere in dubbio alcune scelte che hanno fatto da contorno alla guerra di aggressione ai danni dell’Ucraina.
Le ultime sentenze demolitrici delle libertà di espressione e di opinione hanno riguardato quattro giornalisti, Artem Kriger, Sergei Karelin, Konstantin Gabov e Antonina Favorskaya, condannati a cinque anni e mezzo di carcere dal tribunale distrettuale Nagatinsky di Mosca per aver partecipato ad una “organizzazione estremista”. Nello specifico si tratta della Fondazione anticorruzione di Alexei Navalny, morto nella colonia penale di “Polar wolf” il 16 febbraio 2024.
Nessuno dei quattro giornalisti – ai quali è stato pure vietato di gestire siti web per tre anni - si è dichiarato colpevole. La difesa nel chiedere l’assoluzione si è più volte lamentata del fatto che l’intero processo sia stato celebrato a porte chiuse, con l’esclusione totale di cittadini e media. Non sono mancati, come riportano diversi siti indipendenti russi, alcuni episodi che hanno alimentato ingiustificatamente un clima di tensione. Il pubblico ministero si è sempre presentato in tribunale accompagnato da due agenti di polizia armati con mitragliatrici. L’ingresso dell’aula in cui si sono svolte le udienze è stato sorvegliato da poliziotti con il volto coperto, con giubbotti antiproiettile e pistole in vista.
Gli imputati sono stati mostrati nell’acquario in manette e tenuti sotto controllo da un cane da guardia. Tutti questi elementi dimostrano un singolare ribaltamento della realtà, che ha voluto far passare quattro giornalisti come pericolosi criminali; quattro giornalisti che negli anni scorsi hanno avuto come “armi” solo computer, taccuino, macchina fotografica e videocamera. Un'altra stranezza del processo a carico di Kriger, Karelin, Gabov e Favorskaya ha riguardato l’intervento dei testimoni. Questi ultimi sono stati sempre ascoltati a porte chiuse e in alcuni casi come prove sono stati utilizzati alcuni post pubblicati sui social in cui venivano commentate le attività del compianto Navalny e della sua Fondazione.
I problemi con la giustizia iniziano per i quattro giornalisti nella primavera di un anno fa. A finire in carcere per prima è stata la corrispondente di Sota-Vision, Antonina Favorskaya, dopo essersi rifiutata di mostrare i documenti di identità in occasione di una visita sulla tomba di Navalny sulla quale depose dei fiori. La sua storia è emblematica. Da una incriminazione semplice ad una accusa grave il passo è stato breve: Antonina è stata considerataattivista della Fondazione anticorruzione, ritenuta dall’autorità giudiziaria una “organizzazione estremista”.
Dopo aver scontato una prima pena (dieci giorni di carcere), Favorskaya è stata trasferita in un centro di detenzione preventiva. Sin dal primo giorno, la giornalista ha seguito i processi a carico del principale oppositore di Putin. Per questo motivo l’autorità giudiziaria ha accusato la reporter di SotaVision di «aver raccolto materiali, prodotto e montato video e pubblicazioni per la Fbk” (la Fondazione anticorruzione di Navalny, ndr)». Durante il processo, ad Antonina Favorskaya è stato pure attribuito un ruolo attivo nell’aver organizzato il funerale di Navalny. Il 27 aprile 2024, altri due giornalisti, Sergei Karelin e Konstantin Gabov, sono stati portati in carcere. Identica l’accusa: “cooperazione con la Fbk”. Karelin e Gabov lavoravano con AP, Deutsche Welle e Reuters.
L’ultimo a finire dietro le sbarre è stato nel luglio scorso Artem Kriger anche lui di SotaVision. Quando si è diffusa la notizia della condanna dei giornalisti russi, alcune cancellerie si sono subito mobilitate. La Francia, tramite il portavoce del ministero degli Esteri, Christophe Lemoine, ha chiesto alla Russia «la scarcerazione immediata e senza condizioni di tutti coloro che sono perseguiti per motivi politici». «La condanna dei quattro giornalisti Antonina Favorskaya, Artem Kriger, Sergei Karelin e Konstantin Gabov a cinque anni e sei mesi di carcere – ha detto Lemoine -, al termine di una discutibile azione penale, rappresenta una nuova dimostrazione da parte delle autorità russe di repressione di qualsiasi opinione dissenziente».
Secondo Reporters sans frontières, la condanna del tribunale di Mosca è “grave e ingiusta”. Antoine Bernard, direttore degli affari legali di Rsf, ha definito il processo a carico di Kriger, Karelin, Gabov e Favorskaya «un precedente agghiacciante per la Russia, dove la libera informazione è ormai un reato».
Alcuni forum di discussione, animati da avvocati russi, hanno anche anticipato un interessamento della Germania nei confronti di Sergei Karelin, collaboratore della radio Deutsche Welle. Qualcuno già ipotizza che Karelin possa essere inserito in un nuovo scambio di prigionieri, come quello avvenuto nello scorso agosto, quando i dissidenti russi Oleg Orlov, Vladimir Kara- Murza e Ilya Yashin vennero liberati e trasferiti proprio in Germania.