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Antonio Trifoli non poteva chiedere l’aspettativa per candidarsi a sindaco del Comune di Riace. Ed è per questo motivo che il Tribunale di Locri lo ha dichiarato incandidabile, facendolo decadere dalla carica di primo cittadino dopo appena sei mesi di mandato. Il sindaco in quota leghista, che proprio venerdì scorso aveva fatto sgomberare l’ambulatorio medico gratuito per migranti e cittadini, dopo aver fatto rimuovere i cartelloni con la scritta “Città dell’accoglienza” e quello in memoria di Peppino Impastato, ha già annunciato che presenterà ricorso in Appello, sospendendo, di fatto, l'esecutività della decisione. Che arriva dopo quella che aveva portato il segretario riacese della Lega, Claudio Falchi, a dimettersi per anticipare l'obbligo, imposto dalla Prefettura, di comunicare in aula la propria incandidabilità, così come stabilito dal Viminale, a causa di una sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta. E ora il sigillo finale: nemmeno il primo cittadino avrebbe potuto presentarsi alle urne e chiudere, così, la stagione di Domenico Lucano, simbolo dell’accoglienza, spodestato dopo 15 anni di mandato e sconfitto alle elezioni comunali di maggio scorso, quando si era presentato come consigliere comunale nella lista di Maria Spanò, pur impossibilitato a fare campagna elettorale a causa del divieto di dimora che allora lo teneva lontano da Riace. La ragione del limite all’esercizio dell’elettorato passivo di Trifoli viene radicata dal Viminale «nell’inapplicabilità dell’istituto dell’aspettativa elettorale al dipendente assunto a tempo determinato, nell’ente comunale di riferimento, stante il divieto espresso dall’articolo 60 comma 8 del decreto legislativo 267/2000». Un divieto confermato dal Tribunale. Trifoli, assunto con la qualifica di Istruttore di Vigilanza, categoria C, dal dicembre 2014, a tempo determinato, ha tentato di far passare il proprio rapporto di lavoro con l'Ente come quello di lavoratore socialmente utile, così com'era in origine. E per presentarsi alle elezioni aveva chiesto un'aspettativa all'Ente, concessa con delibera del 26 aprile scorso. Una richiesta poi rinnovata e accolta il 14 giugno successivo, ovvero quando ricopriva già la carica di sindaco. Trifoli ha contestato le ragioni del Viminale, sostenendo l’errata riconduzione del suo contratto di lavoro «in quanto il rapporto instaurato con l’ente ha natura speciale, derivante dall’utilizzazione dei lavoratori Lsu, con funzione previdenziale e solidaristica, e come tale non parificabile al lavoro subordinato a tempo determinato». Di tutt’altro avviso è però il tribunale: è netto, infatti, «lo spartiacque tra la condizione giuridica del lavoratore Lsu ed Lpu e colui il quale, nell’ambito di tale procedura occupazionale, viene stabilizzato con contratto a tempo determinato, come quello stipulato tra il Comune di Riace e il signor Trifoli». Il punto critico, si legge infatti in sentenza, «si enuclea nella durata dell’aspettativa che è, per sua natura, suscettibile di essere ben più durevole rispetto agli altri casi di sospensione dal lavoro» previsti dalla legge, «mediamente infra-annuali e, al di fuori dell’astensione obbligatoria per maternità, soggetti alla comparazione con le esigenze organizzative da parte del datore di lavoro». L’aspettativa elettorale, invece, «si pone in contrasto con la natura intrinseca del rapporto di lavoro a tempo determinato in quanto determinerebbe l’ultrattività del rapporto rispetto alla previsione contrattuale anche qualora si volesse tendere ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma applicata, ritenendola applicabile solo qualora il termine apposto al contratto sia espressione di concrete esigenze organizzative dell’ente pubblico, tali esigenze nella fattispecie non sono obliterate dalla tendenza alla stabilizzazione ulteriore del rapporto con il possibile passaggio al contratto a tempo indeterminato». E come risulta dagli atti prodotti in giudizio, «la sospensione del rapporto di lavoro violerebbe, da un lato, i limiti imposti dal rispetto della legge di bilancio e del patto di stabilità interno dell’ente, e dall’altro, bloccherebbe l’evoluzione del rapporto con la trasformazione in tempo indeterminato». Duro il commento del sindaco, che ha annunciato battaglia legale fino al terzo grado di giudizio. «Resto sconcertato dalle motivazioni - ha sottolineato in una nota -. Si vuole precludere il diritto all'elettorato passivo a chi dopo 20 anni è ancora precario della pubblica amministarazione. Un sacrosanto diritto sancito dalla nostra Costituzione che viene cancellato con un colpo di spugna senza approfondire attentamente la vicenda tant'è che nel dispositivo si specifica che non esistono casi precedenti. Spero col cuore che il mio caso faccia giurisprudenza, non per me, ma per le migliaia di colleghi che in tutti questi anni hanno visto negarsi tutti quelli che sono i principi essenziali della nostra Costituzione. Un precario a 900 euro al mese e un condannato per gravi reati sono messi sullo stesso piano. Il governo e soprattutto il Parlamento devono prendere atto che le regole del diritto in Italia sono quantomeno da rivedere. Ad oggi inoltre - ha concluso - è stata negata dalla Prefettura e dal ministero dell'Interno la possibilità di visionare le carte e soprattutto quello che ad oggi è "parere fantasma" che dichiara la mia presunta ineleggibilità». Parere che, però, è stato depositato agli atti del procedimento e, dunque, accessibile anche alla difesa di Trifoli. La decisione del Tribunale di Locri - dove domani Lucano si presenterà per rilasciare dichiarazioni spontanee nell’ambito del processo “Xenia” -, ora, rende sempre più plausibili nuove elezioni. E questa volta Lucano potrebbe anche decidere di ricandidarsi a sindaco: una possibilità, spiega al Dubbio, che attualmente non starebbe considerando, a meno che non siano gli stessi riacesi a chiederlo. Così come avrebbe deciso di non cedere alle lusinghe del governatore calabrese Mario Oliverio, che lo starebbe corteggiando in vista delle prossime regionali. «Comunque sia andata - ha commentato Lucano -, non ho intenzione di infierire sull'esito dell'esperienza amministrativa di Trifoli. Dopo tre mandati, la gente ha comunque deciso di voltare pagina, un po' per il clima che si respira in tutta Italia, un po' per le mie vicende giudiziarie. E devo accettare la sconfitta alle urne. Ma se ci fosse una reale intenzione a riavermi alla guida del Comune allora potrei anche pensarci, in nome di quel municipalismo libertario che ha caratterizzato sempre la mia esperienza politica».