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Quale sarà il trauma? Spiegava Anton Cechov che quando in un romanzo compare una pistola, è fatale che prima o poi spari, perché diversamente non si capisce per quale motivo l'autore l'avrebbe portata in scena. Nella narrazione del governo gialloverde, di pistole sul tavolo ce ne sono ormai tante e l'impressione è di vivere in un'armeria, non in un Paese che avrebbe bisogno di stabilità, pace sociale e riforme intelligenti.
Nell'affannosa rincorsa verso il voto europeo si vive nella vigilia permanente di qualche trauma. Per giorni si è trascinata la vigilia dell'incontro tra il presidente Conte e il sottosegretario Siri ( Conte lo licenzierà? Salvini si arrabierà? E quanto? I 5 Stelle terranno duro sulla questione morale?). Poi la vigilia dei giudizi della Ue sulla manovra economica e sulle dimensioni del deficit di bilancio, dello scontro 5Stelle - Lega sull'abolizione o il ripristino delle province, una continua fuga verso l'incerto assestamento dei rapporti tra le due forze di governo. La scacchiera dei traumi possibili si arricchisce di giorno in giorno. L'imminente trauma giudiziario del caso Siri ( non da poco, viste le collusioni che si intravvedono con obliqui ambienti siciliani) oscura parzialmente quelli che minacciano non solo la maggioranza ma l'intero Paese.
C'è il possibile e verosimile trauma economico. Il 5 giugno la Commissione Europea diffonderà le raccomandazioni economiche per ciascun paese dell'Unione e i primi nodi verranno al pettine. Al governo verrà chiesto di spiegare come intende reperire risorse per decine di miliardi per i prossimi due anni e si chiederà conto della crescita del deficit. E' facile prevedere che il governo reagirebbe con stizza a un atteggiamento intransigente della Ue sui nostri conti pubblici. E all'interno della maggioranza esistono forze che non fanno mistero di desiderare lo scontro finale con l'Europa con conseguente ulteriore isolamento del nostro Paese. Per quanto si possa esercitare la memoria cortissima degli italiani non si possono dimenticare le allegre felpe “No Euro” del vicepremier della Lega.
C'è in agguato il trauma libico. Il destino incerto di quel Paese dilaniato tra i due generali ( con i relativi alleati esterni) che si litigano il controllo del territorio e delle risorse energetiche a suon di missili e carri armati, potrebbe avere conseguenze incontrollabili. Con l'arrivo dell'estate riprenderà il flusso dei disperati nel Canale di Sicilia, migranti che oggi hanno un motivo in più per tentare la sorte, la fuga dal deserto libico insanguinato dalla guerra. Tripoli si inserisce poi in un più ampio possibile trauma geopolitico. Sono molti mesi ormai che la collocazione dell'Italia nel campo occidentale ( Europa e Nato) viene messa in discussione e gli accordi con la Cina sulle nuove Vie della Seta non fanno che spingere verso indistinte rotte diplomatiche. Non si sa bene se è in corso uno slittamento verso nuove alleanze strategiche, che peraltro nessuno spiega apertamente.
Sul piano interno infine c'è chi lavora a nuovi traumi che toccano i valori fondanti della Repubblica, e chi fa finta di non vederli. Abbiamo un ministro dell'Interno che si rifiuta di celebrare la festa della Liberazione dal nazifascismo del 25 aprile. Pattuglie di dissennati dispiegano striscioni inneggianti al fascismo, e a Benito Mussolini, mentre la Tv di stato diffonde compiaciuta le immagini della annuale carnevalata militante nel cimitero di Predappio che ospita le spoglie del dittatore, teppisti rasati a zero minacciano e picchiano giornalisti, rivendicando la qualifica di fascisti del Terzo Millennio, a fronte di una sostanziale tolleranza del governo. Cosa accadrebbe se alla prossima occasione qualcuno, con altrettanta dissennatezza, decidesse di reagire? Un crescendo minaccioso, un lievitare di incertezze e paure che solo pochissime voci tentano di raffreddare. E il combinato chimico di diversi e troppi elementi rischia sempre di innescare reazioni imprevedibili. E la sensazione è davvero che la pistola di Cechov non aspetti che la sua buona occasione per far fuoco.