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«Differenziare tra condanna e assoluzione in primo grado, anziché risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, rischia di accrescerlo, perché introduce un altro tema: la fine non solo della presunzione di innocenza ma anche dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge», spiega il presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli. Per il quale l’esercizio indefinito nel tempo della potestà punitiva dello Stato è e deve rimanere «impossibile», a garanzia «della posizione del cittadino» ma anche «di un giusto processo».
Presidente, l’accordo raggiunto al vertice di maggioranza sulla prescrizione presenta profili di incostituzionalità?
Rispetto al tema generale dell’abolizione della prescrizione, una legge in questo senso non è conforme alla Costituzione, perché violerebbe quantomeno due principi: da un lato quello della presunzione di innocenza e della finalità rieducativa della pena e dall’altro quello della ragionevole durata del processo. Mi chiedo se la proposta di bloccare la decorrenza della prescrizione, in caso di condanna in primo grado, non introduca un nuovo, ulteriore elemento di incostituzionalità, di discriminazione tra chi è condannato in primo grado e chi, invece, viene assolto.
E il problema della ragionevole durata del processo rimane in ogni caso.
Assolutamente. Ragionevole durata del processo non significa ragionevole durata di un grado di giudizio, ma ragionevole durata ai fini della decisione complessiva. È un principio così forte da essere assicurato dall’articolo 111 della Costituzione. È un dovere definire la situazione in cui si trova chi è sottoposto ad un giudizio. Inoltre, eliminare la prescrizione dopo la condanna in primo grado sembra abbia come giustificazione una sorta di superamento della presunzione di innocenza. Significa che essendo stato condannato in primo grado, il potere di giudicarti e punirti indefinitamente nel tempo c’è perché è superata la presunzione di innocenza. Ovvero si instaura una presunzione di colpevolezza.
Qual è la ragione profonda della prescrizione?
Che non si può essere sottoposti indefinitamente nel tempo ad un giudizio. Non solo: a distanza di tempo la potestà punitiva dello Stato si esprimerebbe con difficoltà anche in ordine alla genuinità e alla raccolta corretta delle prove, alla garanzia stessa del diritto di difesa, che ha una sua radice anche temporale. Posso difendermi per cose commesse 20 anni fa? È un giusto processo? Il giusto processo è formazione della prova nel giudizio, ma anche possibilità di acquisire prove che non siano storia remota. E la finalità rieducativa della pena si combina con questi elementi, perché significa che la condanna interviene in un tempo ragionevole dopo la commissione di un fatto che costituisce reato. Sullo sfondo deve rimanere la garanzia, per i cittadini, di non essere eternamente giudicabili. Altra cosa è sterilizzare nel calcolo dei tempi di prescrizione tutti quei momenti nei quali la durata del procedimento dipende da atti o comportamenti dilatori, determinando una sospensione dei tempi della prescrizione. Ma eliminarla totalmente significa che è all’arbitrio - cioè atto non controllabile - di chi procede ad esprimere la potestà punitiva dello Stato stabilire se, quando e come arrivare ad una decisione.
La questione può arrivare alla Consulta?
Le questioni dinanzi alla Corte costituzionale non possono essere astratte e perciò devono esser poste quando il giudice deve far uso di quella disposizione e dubita della legittimità costituzionale di quella disposizione. Questo si porrebbe come problema solo quando, in ipotesi, un processo in concreto venisse a essere celebrato dopo un tempo lunghissimo rispetto alla commissione del reato del tutto irragionevole e venisse eccepita la carenza di una garanzia costituita, appunto, dalla prescrizione. Ma determinare i tempi della prescrizione per ciascun reato rientra in un ambito di discrezionalità politica nei limiti della ragionevolezza. Per cui occorre verificare se è ragionevole o meno questo, e la ragionevolezza può essere collegata in qualche modo alla gravità dei reati. Eliminarla completamente non rafforza le garanzie per il cittadino ma le indebolisce, ed è anche contraddittorio con la volontà che si esprime di stabilire una durata certa dei processi e di abbreviarli. Se fosse così non ci sarebbe bisogno affatto di toccare la prescrizione.
In che direzione dovrebbe muoversi la politica?
Gli sforzi dovrebbero essere diretti ad assicurare una ragionevole durata dei processi e non ad eliminare un istituto che blocca la possibilità di sanzionare comportamenti remoti rispetto a quando il processo viene celebrato. Mi pare che il problema sia largamente determinato dall’intasamento che c’è nelle Corti d’appello e nelle fasi delle indagini preliminari. Gli effetti negativi per la persona si producono già per la stessa pendenza del processo, per tutta una serie di incompatibilità che ne sono conseguenza. C’è un diritto e un interesse ad un giudizio sollecito e ragionevole. Si potrebbe lavorare sugli ambiti di discrezionalità ragionevole, cioè la sterilizzazione della sospensione del calcolo dei tempi di prescrizione in presenza di alcune vicende o per un tempo stabilito di celebrazione per ogni grado di giudizio, il tempo che decorre per la proposizione delle impugnazioni e molto altro.
Quali sono i rischi connessi a questa disposizione?
Non vi è possibilità di esercizio indefinito nel tempo della potestà punitiva dello Stato, questo sia a garanzia della posizione del cittadino sia della sua libertà. Non dobbiamo pensare che tutti coloro che sono sottoposti a giudizio siano per ciò solo colpevoli. Ma è anche una garanzia di giusto processo, in modo che rispetto alle dimensioni del fatto la potestà punitiva si eserciti in un arco di tempo che consenta l’acquisizione delle prove e anche la possibilità di difesa. Immaginiamo che venga imputato al cittadino la violazione di regole della circolazione stradale sanzionate, in ipotesi, penalmente 25 anni prima: ho la possibilità di difendermi? Sfido chiunque a ricordarsi dove fosse 20 anni prima in un determinato giorno. Com’è anche impossibile per lo Stato raccogliere genuinamente le prove. Si dirà che in questi casi ci sarà un’assoluzione, ma la stessa possibilità che ci sia un processo non va bene. Poi è da sperare che si mantenga un sistema sostanzialmente democratico e non autoritario. L’assenza di prescrizione rischia di creare la possibilità di intervenire nei confronti di minoranze o di chi politicamente non è allineato rispetto a vicende temporali remote.
Una norma da abrogare, dunque?
Mi pare si giri intorno al problema reale, far funzionare la giustizia. E la soluzione non è l’abolizione della prescrizione ma l’organizzazione della giurisdizione.