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Le elezioni che si sono tenute domenica 6 ottobre hanno confermato l’eccezionalità del Portogallo nel quadro dei paesi dell’Europa del sud, nel periodo seguito alla crisi economica. Innanzitutto, per la stabilità del sistema partitico. In Portogallo, infatti, nessuna nuova forza di natura populista, antisistema o sovranista, è riuscita fino ad ora a scalzare, o anche solo disturbare, i partiti che si sono alternati al governo negli ultimi tre decenni.
Certo, il Partito Socialista ( PS), al governo al momento dello scoppio della crisi fu severamente punito alle elezioni del 2011; ma non con il voto a nuove forze alternative, bensì con la vittoria del suo storico rivale di centro destra, il Partito Social Democratico ( PSD). Dopo la firma di un piano di salvataggio e quattro duri anni di austerity, nel 2015, l’elettorato si spostò a sinistra, ma più che votando per il Partito Socialista, dando il proprio appoggio alle forze che si erano contraddistinte di più nella lotta all’austerità, in parlamento e nelle piazze. Il PS ottenne, infatti, un deludente 32.3%, ma le forze della sinistra radicale furono premiate, ottenendo circa il 18% dei voti.
Dopo lunghe trattative, il PS di António Costa riuscì a formare il primo governo di minoranza formalmente appoggiato dalle forze di sinistra radicale, che fino ad allora erano sempre rimaste all’opposizione: il Partito Comunista Portoghese ( PCP), insieme ai Verdi ( PEV), e il Bloco de Esquerda ( BE). Le aspettative verso questo nuovo governo, soprannominato in maniera inizialmente dispregiativa Geringonça ( marchingegno), erano davvero bassissime. Pochi, tra gli osservatori di allora, avrebbero predetto che sarebbe arrivato a fine legislatura.
Invece, il socialista António Costa e il suo governo, grazie agli accordi siglati a inizio mandato, separatamente, con ciascuno dei tre partiti, sono riusciti a convincere tutti: gli ( ex) acerrimi rivali a sinistra, l’Europa e i mercati, e soprattutto gli elettori. E António Costa è certamente il grande vincitore delle elezioni 2019, con il 36.65% dei voti e 20 seggi in più per il suo partito, rispetto alle elezioni del 2015. Non è riuscito a raggiungere la maggioranza assoluta, come sperava fino a pochi mesi fa, ma potrà negoziare un accordo con le forze alla sua sinistra, certamente da una posizione di maggiore forza rispetto a quattro anni fa, potendo anche fare a meno, nei numeri, di siglare un accordo con entrambe le forze di sinistra che lo hanno appoggiato fino a ieri.
Gli scenari possibili, infatti, sono numerosi: una riconferma della Geringonça, un governo di coalizione o di minoranza con il sostegno esterno del solo Bloco de Esquerda ( la cui leader Catarina Martins, la sera delle elezioni si è detta già pronta a discutere un accordo), oppure l’apertura delle trattative con il Partito Animalista ( PAN), che in queste elezioni si è aggiudicato 4 deputati.
Tornando all’eccezionalità del caso portoghese nel contesto del sud Europa post- crisi, in molti in questi anni si sono chiesti come si possano spiegare la continua stabilità del sistema partitico e l’assenza di nuove forze antisistema fortemente competitive – come Podemos in Spagna o il Movimento 5 Stelle in Italia – o di partiti sovranisti – come Vox, sempre in Spagna, o la Lega. La spiegazione è legata a più fattori: per quanto riguarda le forze antisistema, nate dall’ondata di protesta generata dalla crisi economica, in Portogallo è certamente mancato un leader forte che fosse in grado di guidare quelle forze e dargli una struttura e una visione più duratura; ma è anche mancata la volontà da parte degli elettori di farsi coinvolgere.
Quella che è prevalsa è stata, infatti, la cosiddetta strategia di exit, di uscita, più che quella della partecipazione. L’elettore portoghese, deluso dai partiti tradizionali, non si è rivolto altrove, ma ha scelto di auto escludersi, di non votare. E infatti l’astensione, tra il 2015 e il 2019, in Portogallo ha toccato picchi altissimi: rispettivamente il 44 e il 45.5%. Per quanto riguarda, invece, la mancanza di consenso verso i partiti di destra, di tipo sovranista, le ragioni possono essere di due tipi.
Da una parte, ragioni storiche: in Portogallo, dato il ricordo relativamente recente della dittatura, gli elettori non hanno mai favorito la nascita né appoggiato la proposta elettorale di forze di destra radicale. Inoltre, negli anni più recenti, sono mancate nel paese, le questioni principali sulle quali i partiti della destra sovranista fanno presa in paesi come, ad esempio, la Grecia o l’Italia, ovverosia la crisi dei rifugiati, la questione dei migranti ai confini, e la paura del terrorismo. Tuttavia, in queste elezioni, il primo deputato di estrema destra ha fatto il suo ingresso anche nel parlamento portoghese. Il suo partito, Chega ( Basta), ha ottenuto l’ 1.3% dei voti, ma grazie alla legge elettorale proporzionale, senza soglia di sbarramento, è riuscito ad ottenere un seggio nella circoscrizione di Lisbona, che attribuisce il maggior numero di seggi del paese.
Resta da vedere se e come questo nuovo ingresso cambierà qualcosa negli equilibri del sistema politico portoghese. Molti osservatori, infatti, hanno salutato questa novità, apparentemente irrilevante nei numeri, con una certa preoccupazione.
All’indomani di queste nuove elezioni vinte, senza dubbio, dal governo uscente, non si può non considerare che gli elettori portoghesi, per quanto in maniera meno dirompente rispetto ai loro vicini europei, hanno dimostrato un interesse e un’apertura mai registrati prima verso il cambiamento. Hanno fatto entrare, di fatti, in parlamento non solo la prima forza di destra radicale nella storia del paese, ma anche altri due nuovi partiti: Livre e Aliança Liberal.
A eccezione dell’animalista PAN, che come abbiamo detto ha eletto 4 deputati e sarà in grado così, per la prima volta, di formare un gruppo parlamentare autonomo, queste nuove formazioni hanno ottenuto un seggio ciascuno, ma il loro risultato rappresenta comunque un segnale. Nemmeno il Portogallo, ormai, può più essere considerato immune al vento del cambiamento che ha investito i sistemi partitici del sud Europa, e non solo, negli ultimi anni. E i partiti tradizionali, sia a destra e sia a sinistra, dovranno necessariamente tenerne conto nel prossimo futuro.