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David Sassoli
L’Unione Europea lascerà la Polonia e l’Ungheria fuori dal Recovery Fund se i due Paesi continueranno a esercitare il veto sul piano per la ripresa economica. Lo ha detto il ministro per gli Affari europei della Francia, Clement Beaune, spiegando che tale mossa sarebbe giuridicamente complessa, ma possibile. «La nostra posizione è chiara: non sacrificheremo né il Fondo per la ripresa né lo stato di diritto», ha detto Beaune al quotidiano francese Journal du Dimanche. «Non si tratta di rivedere il meccanismo che collega i due». L’Ungheria e la Polonia hanno bloccato per settimane il rilascio di fondi dal bilancio settennale dell’Ue e dal Fondo per la ripresa, dopo che le istituzioni europee hanno inserito una clausola sul rispetto dello stato di diritto nei meccanismi di elargizione dei finanziamenti. Beaune ha aggiunto che Budapest e Varsavia rischiano ora di perdere miliardi di euro da parte dell’Ue. «Non è una minaccia, ma la conseguenza diretta dell’assenza di un nuovo bilancio Ue, qualora mantenessero il loro veto sul pacchetto per la ripresa», ha detto il ministro francese. L’accordo siglato tra Parlamento e consiglio europeo «non si tocca, spetta a Polonia e Ungheria decidere il loro consenso, se non avviene si andrà avanti lo stesso», ha detto il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, a Sky TG24 Live in Courmayeur. Sassoli ha ricordato che «il veto vale per il bilancio, non per lo stato di diritto» e ha ribadito che «indietro non si torna», «non riusciranno con il veto sul bilancio a bloccare lo stato di diritto». «È brutta l’Europa dei veti, è brutta la democrazia europea quando non discute, quando non scioglie i nodi», ha aggiunto sassoli: «I veti sono sempre un errore e bloccano la democrazia». Intanto, le tensioni politiche italiane e i timori per la tenuta del governo rischiano di complicare la partita europea sul Recovery Fund e mettono in allarme i partner europei. A pochi giorni dal voto parlamentare sulla riforma del Mes e dal vertice dei capi di Stato e di governo Ue, l’Europa guarda con attenzione a quello che succederà a Roma. La stampa tedesca manda un segnale chiaro al nostro Paese e fa trasparire la preoccupazione di Berlino per il braccio di ferro interno alla maggioranza, che potrebbe rallentare ulteriormente la partita del Recovery Fund, già frenata dal veto ungherese e polacco sullo stato di diritto. «L’Italia gioca col fuoco», scrive la Welt. Anzi, «è il paziente a rischio dell’Europa», incalza lo Spiegel. Al momento, in vista del vertice dei leader di giovedì e venerdì, Bruxelles si limita a osservare quello che accade a Roma. I circa 209 miliardi tra sussidi e prestiti del Recovery che spettano all’Italia sono solo virtualmente assegnati al nostro Paese (così come agli altri Stati membri Ue), che per ottenerli avrà bisogno di convincere le istituzioni europee con un dettagliato piano di riforme e investimenti da collegare a un calendario di obiettivi da raggiungere. «Non siamo in ritardo, l’importante è avere un buon piano», ribadisce il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Tuttavia l’ipotesi che l’Italia possa arrivare senza un governo a febbraio, quando presumibilmente i piani nazionali di riforme saranno inviati alla Commissione, rischia di rendere più difficile la partita europea. La procedura di approvazione dei «piani per la ripresa e la resilienza» dopo la prima valutazione della Commissione, che può prendere fino a due mesi di tempo, prevede infatti l’assegnazione di un punteggio da parte dell’esecutivo Ue. Il voto verrà assegnato in funzione «della coerenza con le raccomandazioni specifiche per Paese, nonché del rafforzamento del potenziale di crescita, della creazione di posti di lavoro e della resilienza sociale ed economica dello Stato membro». L’eventuale valutazione positiva «deve essere approvata dal Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione», e per questo secondo passaggio Bruxelles assegna altre quattro settimane di tempo. Solo il semaforo verde delle due istituzioni Ue farà partire il prefinanziamento del 10% dei fondi, ma darà anche il via al tempo assegnato ai Paesi beneficiari dal crono-programma di «target intermedi e finali» compresi nei piani nazionali. A vigilare sull’effettiva attuazione degli obiettivi previsti sarà il comitato economico e finanziario, composto da alti funzionari delle amministrazioni nazionali e delle banche centrali nazionali, della Banca centrale europea e della Commissione. La governance del Recovery Fund non contempla dunque alcuna prospettiva di cambio di Governo che possa portare a una revisione parziale o generale dei piani di ripresa e resilienza. Viene invece espressamente disciplinata, questa sì, l’eventualità di «gravi scostamenti dal soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali», cioè il ritardo del Paese nel raggiungere gli obiettivi promessi. In questo caso la questione può essere trattata dai leader in persona durante il primo vertice europeo previsto. Ma fino ad allora «la Commissione non prenderà alcuna decisione relativa al soddisfacente conseguimento dei target e all’approvazione dei pagamenti». In altre parole, da un eventuale stallo durante il piano di ripresa potrebbe arrivare uno stop ai fondi da Bruxelles, che tornerebbero virtuali come al punto di partenza. L’unica finestra di revisione del Recovery si apre nel 2022 quando «i piani saranno riesaminati e adattati» al fine di «tenere conto della ripartizione definitiva dei fondi per il 2023». I soldi che non verranno spesi, anche se assegnati all’Italia, resteranno nelle casse Ue. La Task force di Gualtieri L'idea di una "task force" che il governo sta organizzando per la spesa dei 209 miliardi di euro del Fondo di ripresa europeo (Recovery fund) prevede al vertice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il ministro dello Svilupo economico, Stefano Patuanelli, e il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, quindi «le cariche politiche». Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio intervenendo questa sera a «Sky Tg24 Live In a Courmayeur», rispondendo ad una domanda sul coinvolgimento dei tecnici nell’ambito dell’azione di governo. «Nell’attuazione - ha osservato Di Maio - è chiaro che bisogna munirsi delle migliori professionalità che abbiamo in Italia dal punto di vista manageriale e dal punto di vista della conoscenza». Di Maio ha inoltre ricordato in merito al Recovery fund, che l’Italia sarà «il primo Paese che riceverà i soldi» ovvero 209 miliardi di euro. «Siamo il Paese che è allo stesso punto degli altri Paesi europei sulla scrittura del programma e sull’interlocuzione con la Commissione europea», ha sottolineato Di Maio, affermando che l’Italia «non è l’ultimo della classe», ma è allo «stesso livello degli altri Paesi europei» per come sta affrontando il tema della spesa del Recovery fund. (Res) NNNN