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Può accadere che al regime del 41 bis, la frontiera massima dell’intervento punitivo dello Stato, vi sia rinchiuso un detenuto che non appartiene alla criminalità organizzata e tantomeno al terrorismo? La risposta è sì. Si tratta di un calabrese settantenne, Nicola Antonio Simonetta, che rimane ancora al 41 bis nel carcere di Parma, nonostante la presenza di due sentenze che escludono la partecipazione al sodalizio mafioso. In sostanza il 41 bis gli viene considerato applicabile anche se due sentenze processuali hanno reso evidente l’assenza di coinvolgimenti in contesti mafiosi. La più importante, di secondo grado, c’è stata il 28 ottobre scorso che ha riformato la precedente, proprio quella che gli ha fatto scattare il 41 bis: da promotore di associazione semplice ( e non mafiosa) a mero reato di partecipante all’associazione per lo spaccio prevista dall’art. 74 dpr 309/ 90, escludendo anche l’aggravante mafiosa. Infatti da 27 anni di carcere, la pena è stata ridotta a 13. L’altra, relativa ad altro procedimento, è stata pronunciata in primo grado e lo ha assolto dal vincolo associativo.
Il suo avvocato difensore Maria Elisa Lombardo, del foro di Locri, ha fatto quindi istanza direttamente al ministro della Giustizia per chiedere l’immediata revoca del regime del carcere duro visto che non ci sono più i presupposti. A questo si aggiunge anche la sua delicata condizione di salute: ha il morbo di Crohn. Se trasferito nel centro clinico di altro regime, infatti, potrà con maggiore facilità essere curato. Del caso è stata informata anche a Rita Bernardini del Partito Radicale. L’avvocata Lombardo spiega a Il Dubbio che il ministro non solo non ha disposto la revoca, ma non ha dato alcuna risposta in merito. «Dovrebbe essere un atto dovuto, così come ad esempio è accaduto con Massimo Carminati – spiega la legale -, quando essendo decaduta l’associazione mafiosa, giustamente gli è stato prontamente revocato il 41 bis. Non comprendo perché ciò ancora non sia avvenuto con il mio assistito». L’avvocata Lombardo sottolinea anche il fatto che non può fare nulla, nemmeno una istanza alla magistratura di sorveglianza di Roma competente per il 41 bis, visto che non ha ottenuto ancora nessuna risposta formale dal ministero della Giustizia.
Una situazione singolare che nasce da un procedimento giudiziario molto complesso e che l’avvocata è riuscita, in parte, a decostruirlo in appello. Il procedimento più importante, per il quale Simonetta è stato condannato al 41 bis, riguarda la famosa operazione “new bridge” e prende le mosse da una ampia indagine internazionale, nella quale la Dda di Reggio Calabria, in collaborazione con l’Fbi americana, ha investigato con lo scopo di mettere a fuoco eventuali collegamenti tra esponenti legati alla famiglia mafiosa dei Gambino di New York e soggetti italiani legati, o appartenenti, alle famiglie mafiose della ‘ ndrangheta calabrese.
L’indagine parte e si concentra intorno alla figura di Franco Lupoi, un italo- americano che vive a Brooklyn, con qualche precedente penale, considerato attiguo alla famiglia dei Gambino, al quale verrà presentato un’agente provocatore, tale Jimmy, che si fingerà interessato a traffici illeciti. L’avvocata Lombardo che difende Simonetta, spiega che tutto l’impianto accusatorio nasce da due fondamentali e mai provati presupposti: uno, che Lupoi appartenesse alla famiglia dei Gambino di New York, ma in dibattimento è emerso che abbia fatto solo da autista per un certo periodo di tempo. Due, che l’agente provocatore Jimmy si “inserisce” in una pianificazione di compravendita di eroina per raccogliere riscontri investigativi, ma, non è mai emersa, né tantomeno è mai stata dimostrata, la realtà di un preesistente traffico di sostanze stupefacenti tra l’Italia e l’America nel quale Lupoi fosse coinvolto.
Cosa c’entra Simonetta in tutto questo? Lupoi è suo genero in quanto ne ha sposato l’unica figlia. La prima severa condanna, poi riformata in appello, nasce dalla convinzione dei giudici di primo grado che Simonetta sia stato il “regista occulto” del traffico internazionale di sostanze stupefacenti organizzato da Lupoi e Jimmy. L’avvocata Lombardo riesce a decostruire l’impianto accusatorio evidenziando che il coinvolgimento emerge sostanzialmente da un unico episodio, datato 20aprile 2012, in cui Simonetta, Jimmy e Lupoi hanno un fugace incontro di pochi minuti. Le indagini porteranno a monitorare due soli episodi di cessione di sostanza stupefacente avvenuti tra Reggio Calabria e New York tra Lupoi e Jimmy. Da tutto ciò si pianificava che si sarebbe dovuto avviare un intenso e continuativo traffico che però non è mai partito. «Tant’è che nell’inerzia delle parti – sottolinea l’avvocata Lombardo -, le autorità stanche di attendere ulteriori sviluppi, decidono di chiudere l’operazione nel febbraio 2014». In sostanza, in primo grado, Simonetta è stato condannato a 27 anni di reclusione perché avrebbe – pur non comparendo mai - occultamente coordinato il traffico che altri ( Jimmy e Lupoi) stavano organizzando. Poi è arrivata la sentenza di secondo grado che ha derubricato il reato in capo al Simonetta in una mera partecipazione ad una associazione semplice.
Rimane il dato oggettivo che Simonetta non ha nessuna condanna per mafia, non risulta appartenente a nessuna ‘ ndrina, ma è tuttora al 41 bis. L’avvocata Maria Elisa Lombardo chiede la revoca immediata, altrimenti non rimane che ricorrere alla Corte Europea di Strasburgo.