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Oggi è il giorno della verità per Julian Assange, il fondatore di Wikileaks comparirà davanti ad un tribunale di Londra che deciderà in merito alla sua estradizione negli Stati Uniti. La svolta si è avuta ieri dopo che il ministro degli Interni britannico Sajid Javid ha preso la decisione di accogliere la richiesta del dipartimento di Giustizia americano.
Assange, qualora il giudice ritenesse possibile l’estradizione, dovrà rispondere per l’incriminazione di hackeraggio di computer governativi in relazione alla guerra in Afghanistan e in Iraq. Per Javid non sussistono dubbi: «Assange è giustamente dietro le sbarre, c’è una legittima richiesta di estradizione e io l’ho firmata. Vogliamo che sia fatta giustizia».
Sull’udienza pesano però le condizioni di salute del giornalista australiano, il processo infatti si sarebbe dovuto tenere già la settimana scorsa ma una malattia aveva colpito Assange. Si tratta dunque di capire se sarà possibile svolgere il procedimento in un’aula di tribunale come stabilito oppure spostare la sede nel penitenziario di Belmarsh dove è rinchiuso l’ex responsabile di Wikileaks.
Una volta giunto negli Usa si aprirebbe un processo inerente ben 18 capi d’imputazione, tra questi spionaggio e violazione di segreti di Stato. Accuse pesantissime sulle quali si è immediatamente espresso Alan Rusbridger, l’ex direttore del giornale inglese Guardian ( uno dei quotidiani più attivi nel diffondere le rivelazioni di Wikileaks) ha infatti definito il processo «un attentato alla libertà di stampa».
La vicenda giudiziaria di Assange sembra arrivare all’epilogo in maniera comunque contraddittoria. La polizia britannica lo ha prelevato, l’ 11 aprile scorso, dall’ambasciata ecuadoriana a Londra dove si era rifugiato sette anni fa chiedendo e ottenendo asilo politico. Accusato di stupro in Svezia, il giornalista ( che si è sempre dichiarato innocente) si era rifugiato nella sede diplomatica sudamericana proprio per sfuggire alla possibilità di un’estradizione negli Usa da parte del paese scandinavo.
Un’eventualità ora tramontata in quanto la giustizia svedese non ha più ritenuto necessario il suo trasferimento, giudicando l’Inghilterra una sede altrettanto adatta. Sul provvedimento del ministro dell’Interno britannico si è accesa qualche polemica politica, Javid infatti è indicato come uno dei possibili partecipanti alla corsa per guidare i Conservatori e al posto di primo ministro dopo le dimissioni di Theresa May. Il pugno duro su Assange, secondo alcuni osservatori della stampa inglese, sarebbe un tentativo per accreditarsi presso Washington e ottenere un qualche tipo di endorsement.