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Siamo al codice nero? Al triage etico che, tragicamente, i reparti di terapia intensiva furono costretti ad applicare nella prima era del covid, quando davvero ci si trovò a scegliere chi salvare in terapia intensiva fra più pazienti contagiati? Forse no. O meglio: certamente non ci siamo ora. Eppure in una intervista rilasciata oggi a Repubblica, il dottor Mario Riccio, capo del reparto di terapia intensiva all’ospedale di Casalmaggiore, in provincia di Cremona, ha avanzato una proposta choc: considerare la scelta di non vaccinarsi tra i criteri di precedenza, evidentemente in senso sfavorevole, nell’accesso alle cure sanitarie.
Una tragedia da codice penale di guerra, una prospettiva agghiacciante. Riccio è un medico importante: noto per essere stato il dottore che, nel 2006, accompagnò Piergiorgio Welby a una fine liberatoria, guida la terapia intensiva in un’area della Lombardia certo non risparmiata dal covid, e mette in fila alcune considerazioni glaciali, tra cui la seguente: «Cosa diciamo a chi attende per operarsi di tumore? Che il suo letto è bloccato da una persona che non si è voluta vaccinare? Come ha detto il presidente Mattarella, vaccinarsi è un dovere etico». E appunto, l'essersi sottoposti al vaccino «a mio parere dovrebbe essere inserito nei criteri di priorità per le cure». Netto e terribile. Ma si tratta anche di una logica accettabile, per i medici, sul piano della deontologia e della politica sanitaria? Interpellato dal Dubbio, è il presidente dei medici italiani a rispondere, Filippo Anelli: «Più che chiederci se davvero si debba dare precedenza nelle cure a un paziente che ha scelto di vaccinarsi rispetto a chi si ammala di covid in seguito al rifiuto del vaccino, dobbiamo cambiare prospettiva e porci ancora un’altra domanda: davvero è possibile, anche in un momento cosi delicato, legare le scelte della politica alla sola ripresa economica? O non è forse il caso», chiede Anelli, «di ripensare il livello delle restrizioni sociali, in modo da poterci permettere un minore sbilanciamento dei posti letto, oggi orientato alla terapia per i contagiati dal covid, col sacrificio degli spazi destinati, ad esempio, ai malati oncologici?». Anelli dunque non considera neppure la possibilità che, a breve, possa ripresentarsi il quadro da incubo della primavera 2020, «quando davvero nelle terapie intensive noi medici fummo costretti a scegliere chi salvare. Quella è un’esperienza che ci ha segnati per sempre, e comprendo come ancora oggi pesi sul nostro modo di valutare la situazione. Ma siamo ancora distanti da un quadro simile», fa notare il presidente della Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei medici), «e se si ripresentasse di nuovo, d’altra parte, sarebbe un gravissimo fallimento per tutti noi. Ci troveremmo di fronte al franare di tutto quanto si è costruito in questi due anni». Però appunto, Anelli già adesso può attestare una sofferenza per la cura dei pazienti “non covid”: «C’è poco da fare: con i numeri attuali noi continuiamo ad avere un numero davvero elevato di anestesisti trasferiti dalle sale operatorie alle terapie intensive, dove sono chiamati ad assistere i malati di covid. Vuol dire riduzione inevitabile degli interventi chirurgici, dunque dell’assistenza sanitaria anche per chi è affetto da malattie molto gravi come i tumori». E questo, osserva il presidente della Fnomceo, «è l’effetto evidentemente di una ben precisa scelta politica: rafforzare l’assistenza sul fronte covid, in modo da poterci permettere l’attuale regime delle restrizioni sociali, e favorire innanzitutto la ripresa economica. Possiamo permettercelo davvero? Davvero l’economia viene prima di tutto? Non è detto che sia così», osserva il presidente Anelli, «e la politica deve rendersene conto. Ecco perché, più che prevedere il sacrificio dei non vaccinati, adesso dovremmo cercare di ridurre l’impatto dei ricoverati per covid con qualche sacrificio in termini di corsa alla ripresa economica». D’altronde, osserva il presidente dei medici italiani, «o il sacrificio avviene in un’ottica simile, o lo si chiede, di fatto, ai malati oncologici che non trovano un posto letto disponibile perché destinato al covid, restano troppo a lungo in lista di attesa e non sono curati, Ricordiamo che nel 2020, nella fase più dura della pandemia, oltre alle vittime del virus, ne abbiamo contate altre 30mila in più rispetto agli anni precedenti, e lo si spiega solo con la riduzione dell’accesso alle cure per chi soffriva di patologie diverse dal coronavirus».