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Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha sicuramente un’interlocuzione intensa con gli avvocati. Scossa da qualche caso diplomatico – su tutti la frase scappata via in una dichiarazione che qualificava i difensori dei «ricchi» come «azzeccagarbugli» – ma comunque corretta, come ha riconosciuto anche il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza alla manifestazione di venerdì scorso. Come si possa conciliare un simile costruttivo atteggiamento con l’idea di «un bollino blu» per certificare la moralità dei professionisti è però quesito a cui è difficile rispondere. Tanto più che ad avanzare la proposta non è un parlamentare qualsiasi ma il presidente dell’Antimafia Nicola Morra; e che il massimo vertice di Palazzo San Macuto proviene dalla stessa forza politica di Bonafede, il Movimento cinquestelle.
Morra ha accennato a quell’ipotesi in una conversazione con l’Ansa di alcuni giorni fa. Vi ha squadernato le priorità della nuova commissione parlamentare Antimafia.
Ci sono propositi interessanti e ambiziosi come l’eliminazione del segreto di Stato, altri controversi come la commissione d’inchiesta sulla “Trattativa Stato- Mafia” e altri ancora enunciati in continuità con la presidenza Bindi, come il «comitato sulla massoneria». Posizioni che si possono discutere e non condividere, ma politicamente più che legittime. C’è però poi quell’altro, singolare passaggio della conversazione di Morra con l’Ansa: «Nel contrasto alla criminalità organizzata si partirà anche da quella parte dell’economia sana che rischia di essere inquinata: uno strumento potrebbe essere l’istituzione di un ‘ bollino blu’ per gli iscritti ai vari Ordini professionali. Penso a una sorta di controllo di filiera etica che possa rappresentare una certificazione di moralità».
Andiamo con ordine, è il caso di dire. Prima di tutto il concetto di “filiera”. Dà l’idea di un giudizio che deve essere espresso da una catena informale, magari animata anche da sospetti, validata da fonti non istituzionali, non autorevoli ( in senso formale), potenzialmente inclina anche alla mera delazione. Possibile?
L’impressione che Morra non alluda all’ordinaria cornice dei procedimenti disciplinari è suggerita soprattutto da quella certificazione di «moralità». Concetto che, per un professionista, a cominciare dagli avvocati, o produce fatti di rilievo disciplinare o anche penale, oppure è irrilevante. Gli illeciti tipizzati sono già sottoposti all’accertamento e all’eventuale sanzione interna da parte – per esempio e sempre per restare agli avvocati – dei Consigli di disciplina degli Ordini forensi e successivamente del Consiglio nazionale forense. Non a caso ieri un avvocato che siede in Parlamento, l’azzurro Pierantonio Zanettin, ha avanzato anche l’ ipotesi che Morra, semplicemente, non si riferisse alla professione legale. «Immagino che non pensi ad un ‘ bollino blu’ per gli avvocati», ha dichiarato. Ma poi ha aggiunto: «Ricordo al presidente Morra che gli avvocati hanno già un preciso codice deontologico e che sono soggetti dall’ordinamento professionale a un rigoroso controllo disciplinare». Appunto: i Consigli di disciplina degli Ordini e il Cnf, che è anche organo giurisdizionale. Il parlamentare di Forza Italia, che è stato anche laico al Csm nell’ultima consiliatura, aggiunge di essere pronto ad opporsi «con ogni energia a qualsiasi ipotesi di controllo politico sul libero esercizio della professione forense».
Contattato da Dubbio, il presidente Morra spiega di «non voler alimentare polemiche» e che, per questo, preferisce non replicare. Il tema però adesso è sul tavolo. E andrà affrontato. Anche perché, come detto, finora l’interlocuzione tra governo, Parlamento e professione forense è stato tanto aspro nel dissenso sul merito di alcune proposte – stop alla prescrizione, legittima difesa – quanto reciprocamente rispettoso. Basti pensare che alcuni giorni fa il sottosegretario alla Giustizia Jacopo Morrone ha i riunito i rappresentanti di tutte le professioni vigilate da via Arenula per discutere di un rafforzamento delle norme sull’equo compenso, senza escludere l’ipotesi di estenderne i princìpi ai rapporti con tutti i clienti privati. Un incontro al quale è intervenuto anche il Cnf, rappresentato dalla consigliera segretaria Rosa Capria, e al termine del quale Morrone ha assicurato di valor valorizzare «l’attività dei professionisti, che hanno un ruolo di primo piano nella società», in modo da «risolvere, nel più breve tempo possibile, i principali problemi, comuni a tutti gli Ordini, per troppo tempo sottostimati». E soprattutto, andrebbe considerata la disponibilità mostrata dal ministro vigilante, il guardasigilli Bonafede, su una proposta, di segno opposto a quella di una certificazione extraordinistica, avanzata proprio dagli avvocati. Al Congresso forense dello scorso ottobre, Bonafede ha detto di voler studiare il modo per introdurre «l’avvocato in Costituzione», ossia il riconoscimento della libertà e indipendenza della professione messo a punto dal Cnf. In quella proposta di legge costituzionale si richiama anche «la funzione giurisdizionale sugli illeciti disciplinari dell’avvocato» da parte dell’ «organo esponenziale della categoria forense, eletto nelle forme e nei modi previsti dalla legge».
Quindi, Bonafede ha espresso – e lo ha fatto ripetutamente – la propria condivisone complessiva su una ipotesi di modifica costituzionale che implicherebbe proprio il riconoscimento della funzione giurisdizionale esercitata dal massimo organo dell’avvocatura. Eppure su tale funzione e sull’efficacia con cui viene svolta, il presidente della commissione Antimafia ha evidentemente delle riserve. Il fatto che Bonafede e Morra siano entrambi autorevoli esponenti del Movimento cinquestelle lascia credere che sul punto non sarà difficile arrivare a un chiarimento con l’avvocatura. Anche in modo da rafforzare, proprio attraverso il riconoscimento costituzionale, una funzione di controllo su illeciti che in una percentuale infinitesima di casi possono essere ascritti all’ambito della criminalità mafiosa.