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«Sono per il socialismo e la fraternità, per l’amore e per la tenerezza, ma quando hai a che fare con i razzisti e gli xenofobi, beh, non porgi mica l’altra guancia, devi colpire più forte di loro, devi vincere tu, come in un incontro di pugilato».
Se c’è qualcuno capace di far sudare freddo la tignosa Marine Le Pen in un confronto televisivo quello è proprio Jean Luc Mélenchon, il candidato della France insoumise, la lista della sinistra radicale in vertiginosa ascesa nei sondaggi. Sono anni che le sta alle costole, come un pitbull, una specie di dovere repubblicano perchè convinto che tra lei e il papà Jean Marie non ci sia tutta questa differenza e che il Fn sia un movimento pericoloso per la convivenza civile: «Nega nella sostanza tutti i nostri principi, la libertà, l’uguaglianza, la fraternità».
Durante un talk show nella campagna per le presidenziali del 2012 la leader del Front National, estenuata dalle continue interruzioni , ha sbottato: «Signor Mélenchon lei non è democratico, lei non vuole farmi parlare». Secca la replica: «Ha ragione, io non voglio farla parlare, lei è una fascista, difende delle idee oscene e io farò di tutto per non farla parlare».
Insomma, nessuna pietà con i populisti, anche a costo di camminare a propria volta sulla linea di confine del populismo; ma che importa, questo timbro agguerrito accarezza la pancia del popolo della gauche, frustrato dall’avanzata dell’estrema destra da una parte e dall’ascesa dell’indecifrabile “terza via” di Emmanuel Macron dall’altra. Finalmente uno che risponde a tono, finalmente uno che non si presenta in pubblico con l’aria del cerbiatto smarrito come il candidato ufficiale del Ps Benoit Hamon, vittima designata della ghigliottina elettorale prossima ventura. Un uomo colto che però parla “come il popolo”, che ama il conflitto intellettuale e detesta la langue de bois delle élites, il politichese involuto, la lingua farlocca degli odiati tecnocrati cantori dell’austerity suo altro grande bersaglio d’elezione.
Un uomo che sa scaldare le platee e infiammare le piazze. È grazie a questa passione mediterranea ( nelle sue vene scorre sangue spagnolo e in parte italiano) che oggi gli vengono perdonati i cambiamenti e le svolte che hanno segnato la sua lunga carriera politica. In piazza con i liceali nel maggio ‘ 68, trotzkista ortodosso nei primi anni dell’università, poi socialista folgorato dalla luce di François Mitterand che ha seguito fino all’inizio del secondo mandato, quando si oppone alla «svolta liberista» del partito, diventando uno degli avversari del segretario Michel Rocard.
Guiderà una corrente della sinistra interna fino all’uscita dal partito nel 2008. Ha votato “Sì” al Trattato di Maastricht nel ‘ 92 perché nonostante tutto si sente un francese- europeo ma si è subito pentito di quella scelta: «Abbiamo costruito un’europa sbagliata, bisogna rinegoziare i trattati e modificare le istituzioni dell’Ue per salvarla da se stessa».
In comune con i sovranisti ha il disprezzo per «le oligarchie monetarie» e «le grandi banche finanziarie», convinto però che la crisi la debbano pagare i ricchi e non i migranti: «Il mio programma è semplice: voglio sradicare la miseria dalla società e voglio che siano le classi più agiate a dare il contributo maggiore».
Tutti gli osservatori, analisti, politologi, i suoi stessi avversari politici concordano su un fatto: il mattatore della campagna presidenziale finora è lui, il più brillante e puntuale nei duelli con gli altri candidati, il più diretto nello stile e nella comunicazione e, in fondo, il candidato che difende il programma più chiaro nel modo più chiaro, al di là di quanto si condividano le sue idee.
Gli ultimi sondaggi sono quasi stellari: 18%, una percentuale impensabile fino a qualche settimana fa e direttamente proporzionale al crollo di Hamon che precipita in uno sconsolante 9% delle intenzioni di voto. Se la destra del Ps voterà per Macron, la sinistra, anche quella più moderata ormai sta puntando sul radicale Mélenchon, in mezzo rimane un partito che è un cumulo di macerie. L’esplosione della casa socialista sgretola e fa slittare i blocchi elettorali classici e rende più imprevedibili che mai i risultati del primo turno, soprattutto a sinistra.
Una tendenza che tende ad accorciare la distanza tra i candidati maggiori: Le Pen rimane in testa con il 24%, segue Macron con il 23%, si riavvicina Fillon che torna al 20%, segue, per l’appunto Mélenchon al 18%. Se gli scarti si ridurranno ancora il leader della France insoumise può anche sognare uno storico approdo al ballottaggio, magari contro Marine Le Pen in una cruenta guerra dei mondi che lo vede come ultimo baluardo della Répubblique.
Al di là delle suggestioni mancano quindici giorni al voto, l’ultimo rettilineo della campagna elettorale Jean Luc Mélenchon vuole percorrerlo con il piglio di sempre, picchiando duro contro gli avversari e provando a convincere gli indecisi che il suo progetto farà rinascere la derelitta sinistra francese. Tanto, comunque andranno le cose la sua scommessa l’ha già vinta.