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Theresa May si è presentata al Consiglio europeo convinta di ottenere una proroga della Brexit per il 30 giugno e oltre ma è tornata a casa con l’ennesima sconfitta politica. Per l’Unione è infatti impensabile strascinare il dossier oltre l’ultima settimana di maggio quando si svolgeranno le elezioni europee. Impensabile - e questo è del tutto logico- che la Gran Bretagna elegga degli europarlmentari poco prima di abbandonare l’Unione. Eurodeputati che deciderebbero le sorti di un organismo al quale non appartengono più, niente di più paradossale e destabilizzante per le già fragili fondamenta dell’Ue, senza contare le controversie giuridiche che un paradosso del genere potrebbe creare.
«Sono qui per discutere con gli altri leader europei la nostra richiesta di una proroga breve dell’articolo 50, fino alla fine di giugno che darebbe tempo al Parlamento di fare le scelte finali per rispettare i risultati del referendum» sulla Brexit, aveva detto la premier britannica, aggiungendo che lei spera ancora in un voto favorevole dei parlamentari all’accordo che ha raggiunto con l’Ue nonostante la doppia bocciatura già incassata nelle scorse settimane.
Stando a quanto detto dai leader all’arrivo a Bruxelles è passata la linea del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk: si alla mini- proroga ma solo se nel frattempo la Camera dei Comuni approverà l’accordo firmato dalla premier britannica con l’Unione.
Ma da Londra i segnali non sono certo di buon auspicio per la povera May. Il leader laburista Jeremy Corbyn fa sapere che è «impossibile» accettare l’accordo così com’è e che è alla ricerca di «una nuova maggioranza per una soluzione concordata». Se dal labour verosmilmente non arriverà un voto favorevole, sono molti i deputati conservatori ostili alla linea della premier e un’ennesima bocciatura dei Comuni.
Intanto sono oltre un milione i britannici che hanno firmato la petizione indirizzata al parlamento di Westminster per bloccare la Brexit e far restare la Gran Bretagna nell’Unione europea, prospettiva che sembrava impensabile solo fino a qualche mese fa e che ora è più di una semplice suggestione.
Il ritmo di crescita del numero delle firme è vertiginoso: nella mattinata di ieri erano 700 mila, poi il sito della petizione «per la revoca dell’articolo 50» è andato in crash. Nei due giorni precedenti di raccolta, si era arrivati a 400 mila. «Il governo sostiene ripetutamente che uscire dall’Ue rappresenta ” la volontà del popolo”. Dobbiamo porre fine a questa affermazione dimostrando la forza dell’attuale sostegno popolare per rimanere nell’Ue. Un referendum potrebbe non avvenire, quindi vota ora», si legge nel testo della petizione. Quella del numero di firme non è questione da poco e non ha un valore soltanto simbolico: secondo la legge britannica, il Parlamento è tenuto infatti ad aprire un dibattito sulle petizioni che superano le 100 mila firme. L’animatrice dell’iniziativa, Margaret Anne Georgiadou, parlando con la Bbc, ha detto che «finora noi remainers siamo stati costretti al silenzio e siamo stati ignorati. Quello che accade adesso è come l’abbattimento di una diga» .