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Dopo la Siria la Libia. I protagonisti della politica mediorientale, quelli capaci di farsi ascoltare, sembrano ormai Putin ed Erdogan. I due in teoria sono schierati in Libia su fronti opposti: Ankara con la Tripolitania di Serraj, Mosca con la Cirenaica di Haftar. Ma in pratica si sono visti in un vertice e hanno dettato una linea di comune interesse.
Da quell’incontro è scaturito un appello al cessate il fuoco, e le parti lo hanno accettato, compreso il premier di Tripoli che mercoledì aveva cancellato la visita a Roma proprio per non incontrare il rivale Haftar.
Il Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale libico ( Gna), quello ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale, ha annunciato di aver «accolto con favore qualsiasi appello serio a riprendere il processo politico e ad allontanare la guerra, come previsto dall'accordo politico libico e dal sostegno al corso della conferenza di Berlino sotto l'egida delle Nazioni Unite, in riferimento alle discussioni tra il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, e il suo omologo russo Vladimir Putin sulla crisi libica».
La richiesta di Ankara e Mosca è quella di una tregua a partire dalla mezzanotte di domenica. I parlamentari nemici di Haftar hanno però voluto sottolineare il ruolo del generale come aggressore e in quanto tale chiedono che venga escluso da un futuro processo di pacificazione e riconciliazione.
Allo stesso tempo il capo del dipartimento di mobilitazione Lna ha riferito che diverse operazioni militari sono in corso intorno a Tripoli e nella città costiera di Misurata verso la quale le truppe di Haftar stanno avanzando e che qualsiasi tregua «è una questione su cui solo il comandante Haftar può decidere».
In effetti due paramedici sono rimasti uccisi e cinque feriti in un raid aereo su al- Wishka, località a sud di Misurata. Le forze di Haftar con l’aiuto di aerei alleati avrebbero colpito anche la zona dell'aeroporto di Mitiga, a sud di Tripoli. Quindi al momento le armi non tacciono, mentre comunque l’inviato Onu per la Libia, Ghassan Salamé, ha accolto positivamente gli appelli per un cessate il fuoco in Libia.
Salamé ha invitato le parti libiche e tutti gli attori internazionali a «rispondere positivamente a questi appelli e a cessare immediatamente tutte le operazioni militari in Libia per evitare ulteriori bagni di sangue nel Paese».
D’altro canto la stessa Turchia non ha detto che intende rinunciare all’invio di propri militari a sostegno di Tripoli, e anzi Erdogan ha ribadito che la sicurezza della Turchia inizia lontano dai suoi confini fisici.
«Siamo andati in Libia perché e' stato chiesto il nostro aiuto contro l'ingiustizia e l'oppressione. Andremo avanti, senza alcuna esitazione, fino alla vittoria», ha dichiarato Erdogan.