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Stop al digiuno: dopo 214 giorni senza cibo, Aytaç Ünsal ha dunque accettato di sottoporsi alle cure, lasciando ieri l’ufficio dello Studio legale del Popolo, dove è stato trasferito subito dopo aver lasciato l’ospedale dove si trovava detenuto e sorvegliato a vista. Una vittoria, ha spiegato con un filo di voce e ormai ridotto pelle e ossa, che appartiene a tutti, ma che non pone fine alla guerra contro le ingiustizie. «Devo la mia libertà alla nostra resistenza», ha spiegato Ünsal.
La resistenza di tutti, compresa Ebru Timtik, la collega morta dopo 238 giorni di digiuno, diventata simbolo della resistenza. «Non ci siamo arresi, non ci siamo sottomessi. Gli avvocati rivoluzionari non possono essere distrutti. Ebru Timtik è con me adesso - ha aggiunto -. Abbracciamo questa lotta a quattro mani. Questa è la lotta del popolo per la giustizia. Vinceremo sicuramente».
Ünsal ha ricordato il terrore, la violenza e le minacce subite da chi oggi protesta per affermare i diritti basilari, un grido di giustizia che attraversa tutta l'Anatolia. «Abbiamo dimostrato quanto le persone siano affamate di giustizia e con quanta efficacia possono lottare per essa», ha spiegato. Ma il digiuno non è la soluzione. «Lo abbiamo fatto perché non era rimasto nessun altro metodo. Da anni ormai non è possibile rilasciare dichiarazioni alla stampa e tenere manifestazioni. Per anni non è stato emesso alcun suono che non provenisse da un unico ambiente. Abbiamo iniziato un digiuno mortale perché dovevamo resistere».
A stabilire la scarcerazione di Ünsal è stata la Corte di Cassazione, che ha però posticipato di tre giorni l’effettiva esecuzione della decisione, presa, in realtà, il primo settembre e comunicata al procuratore capo di Bakirköy soltanto giovedì. Solo il caso, dunque, ha evitato che la situazione nel frattempo degenerasse. «Ebru sarebbe potuta sopravvivere se la Corte Suprema avesse preso questa decisione 10 giorni fa», ha spiegato il presidente dell'Ordine degli avvocati di Iz mir, Özkan Yücel, che a nome degli altri presidenti ha garantito il pieno sostegno alla battaglia per un processo equo. «Questa lotta è la nostra lotta per l'esistenza - ha aggiunto -, la nostra lotta per essere avvocati, per essere umani. Aytaç ha accettato il nostro desiderio di combattere insieme nelle aule di tribunale». La scarcerazione di Aytaç, ha poi commentato la moglie dell’avvocato, Didem Baydar Ünsal, anche lei parte dello Studio legale del Popolo, rappresenta una gioia amara, «perché abbiamo perso nostra sorella Ebru. Ma la terremo in vita, vedranno il nome e la faccia di Ebru Timtik ovunque». La battaglia contro la normalizzazione del fascismo, dunque, continuerà. «Non accetteremo quest'ordine di crudeltà imposto ai poveri. Il valore della nostra vita e della nostra lotta sta nel fare le barricate contro i nemici del popolo e nell'aumentare la resistenza».