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La scissione ormai è ufficiale. Dopo mesi di fughe in avanti, mezze dichiarazioni e smentite, Matteo Renzi ha deciso di rendere ufficiale l’addio al Pd: «Dopo sette anni di fuoco amico penso si debba prendere atto che i nostri valori, le nostre idee, i nostri sogni non possono essere tutti i giorni oggetto di litigi interni». Immediata la replica di Zingaretti che ha parlato di «errore», e di Franceschini che ha definito la scissione un problema. Preoccupazione anche da palazzo Chigi.
Tanto tuonò, che piovve. Ieri è stato il giorno della scissione: Matteo Renzi da una parte, il Pd dall’altra. Separazione consensuale per l’uno, strappo ingiustificato per gli altri. La nuova creatura si chiamerà “Italia viva”, come annunciato ieri a Porta a Porta, in cui ha definito l’obiettivo: «Il tema è non fare una cosa politichese e antipatica, noiosa. Vogliamo parlare a quella gente che ha voglia di tornare a credere nella politica». Per ora la prima dimensione sarà quella parlamentare.
A Repubblica, Renzi ha spiegato come «I gruppi autonomi nasceranno già questa settimana» e ha lanciato la prima frecciata al segretario del suo ex partito: «E saranno un bene per tutti: Zingaretti non avrà più l’ alibi di dire che non controlla i gruppi Pd, perchè saranno “derenzizzati”. E per il governo probabilmente si allargherà la base del consenso parlamentare, l’ ho detto anche a Conte». Proprio questo ultimo passaggio è rilevante in ottica esterna: Renzi ha chiamato il presidente del consiglio per informarlo della decisione e per rinnovargli il sostegno, ma da Palazzo Chigi è filtrato «perplessità», per «una iniziativa che introduce negli equilibri parlamentari elementi di novità, non anticipati al momento della formazione del governo». Nessun incontro Renzi- Conte a breve, dunque, ma il premier preferisce prendere tempo e attendere che si formino i nuovi gruppi parlamentari.
Proprio sulla definizione dei gruppi, i numeri non sono ancora certi. Ieri sera si è tenuta a Roma la prima cena degli ex: obiettivo, contarsi. Per ora, Renzi ha parlato di «25 deputati e 15 senatori». Sommando frasi sussurrate a mezza bocca, tweet e soprattutto i nomi di chi ha effettuato donazioni sulla piattaforma “Comitati di Azione Civile”, i nomi sono questi: per il Senato Leonardo Grimani, Salvatore Margiotta, Andrea Ferrazzi, Eugenio Comincini, Laura Garavini, Nadia Ginetti, Ernesto Magorno, Mauro Marino, Caterina Biti, Giuseppe Cucca, Alan Ferrari, cui si sommano ovviamente lo stesso Renzi, Francesco Bonifazi ( il braccio destro che ha sostituito Luca Lotti) e la ministra Teresa Bellanova, che sarà a capo della delegazione al governo. Alla Camera, invece, si contano Marco di Maio, Anna Ascani, Mauro del Barba, Martina Nardi, Lisa Noja, Maria Chiara Gadda, Andrea Rossi, Luciano Nobili, Gennaro Migliore, Ettore Rosato, Ivan Scalfarotto, più Roberto Giachetti e la fedelissima Maria Elena Boschi.
Se alla Camera i numeri ci sarebbero per fare un gruppo autonomo con probabilmente a capo Giachetti, al Senato si registrano i maggori sommovimenti. Se il regolamento non prevede la formazione di nuovi gruppi in assenza di un simbolo con cui ci si è presentati alle elezioni, Renzi starebbe discutendo col socialista Riccardo Nannicini ( cui fa capo il simbolo “Insieme”) per far nascere in casa sua il nuovo gruppo renziano a cui, in prospettiva di medio periodo, potrebbero aggiungersi nei gruppi anche alcuni transfughi forzisti, attirati dal progetto renziano e timorosi dell’Opa della Lega su Forza Italia.
Quanto alle linee guida del nuovo movimento, Renzi ha parlato chiaro: «C’è uno spazio enorme per una politica diversa. Per una politica viva, fatta di passioni e di partecipazione. Questo spazio attende solo il nostro impegno», per cui serve «una Casa giovane, innovativa, femminista, dove si lancino idee e proposte per l’Italia e per la nostra Europa». Poi ha indicato con forza il suo avversario: «La vittoria che abbiamo ottenuto in Parlamento contro il populismo e Salvini è stata importante per salvare l’Italia, ma non basta», ha sottolineato l’ex premier, che vuole sconfiggere il salvinismo «nelle piazze, nelle scuole e nelle fabbriche». Quanto agli orizzonti temporali, Renzi ha spiegato che il movimento ( ancora senza nome) non si candiderà alle prossime amministrative e regionali ma punta a costruire un progetto di respiro in vista delle «politiche del 2023 e delle europee del 2024».
L’iniziativa renziana non ha certo spiazzato il Pd, ma ne ha irritato il leader. L’esodo dei parlamentari, per quanto ridotto potrà essere e nonostante l’appoggio confermato al governo, metterà in posizione di debolezza il partito rispetto ai 5 Stelle. «Ci dispiace. Un errore dividere il Pd, specie in un momento in cui la sua forza è indispensabile per la qualità della nostra democrazia. Ora pensiamo al futuro degli italiani, lavoro, ambiente, imprese, scuola, investimenti», è stato il lapidario commento del segretario Zingaretti, sulla cui falsa riga si sono mossi tutti i dirigenti dem ( tranne Goffredo Bettini, che ha teorizzato un rafforzamento del Pd in seguito all’addio dei renziani).
Renzi, tuttavia, continua a ripetere: «io sorrido a tutti e auguro buon ritorno a chi adesso rientrerà nel Pd. E in bocca al lupo a chi vi resterà. Per me c’è una strada nuova da percorrere», che comincerà con la Leopolda: «Sarà un’ esplosione di proposte. Ci riconoscerete dal sorriso, non dal rancore. Voi la chiamate scissione, io la chiamo novità». Il Pd, così, rimane orfano del suo ultimo leader indiscusso ( il che probabilmente segnerà il ritorno della “ditta” Bersani- D’Alema), che ha riconosciuto per la prima volta ad alta voce: «Mi hanno sempre trattato come un estraneo».