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Russia
Con l’apparizione delle formulette Minsk e NordStream2 si è come magicamente allontanato lo spettro dì guerra in e per l’Ucraina, che era arrivato addirittura ad essere annunciato -dal leader di Kiev Zelensky- con una data precisa: quella dì oggi. I tamburi continueranno di certo a rullare, e a lungo, poiché questo è per ben diversi motivi sia nell’interesse di Mosca che in quello di Washington, ma i venti di guerra vanno calando. Era prevedibile, perché la Russia ha raggiunto i suoi obiettivi, instradando la partita per la soluzione degli altri, e tra tutti quello cruciale, perché identitario della nazione: ricordare al mondo che è una superpotenza. E, da questo punto di vista, che c’è di meglio che schierare 140mila uomini lungo confini contesi, facendo sciamare portaerei nel Mediterraneo, facendo temere alle opinioni pubbliche e alle Cancellerie occidentali il ritorno a un vecchio vizio del Secolo Breve, la guerra? Tocca anche constatare che Washington e Kiev, dal punto di vista della propaganda che è strategica in ogni conflitto, a Mosca han finito per dare una mano. Ma appunto il segnale del contrordine è arrivato ieri, con l’annuncio dì un parziale ritiro delle truppe russe, e non a caso è accaduto nell’incontro a Mosca con Putin del neo Cancelliere tedesco Olaf Scholz. Nella girandola dì vertici e telefonate, alle quali nessun leader europeo si è sottratto, è stata scelta la visita tedesca -perché non si può dubitare dell’abile regia con la quale i russi hanno provocato l’escalation e iniziato a orchestrare la de-escalation- poiché Berlino ha stretti e cogenti interessi a una soluzione: dalla Russia arriva il gas. A Berlino come nel resto d’Europa, a cominciare dall’Italia. Attraverso NordStream1, e attraverso il nuovo gasdotto NordStream2, che non attraversa l’Ucraina, ed è pronto dal dicembre 2021 ma bloccato dalla magistratura tedesca per problemi di conformitá con le leggi. In tempi di prezzi del gas alle stelle, che rallentano la crescita economica, Putin in conferenza stampa dal Cremlino ieri si è anche tolto lo sfizio di notare, con Olaf Scholz che gli stava accanto, “ma il consumatore tedesco, se e quando NordStream2 entrerà in funzione, sarà contento di pagare il gas 5 volte di meno, no?”. Contestualmente, l’autocrate di tutte le Russie ha anche annunciato “il parziale ritiro delle nostre truppe impegnate in esercitazioni”, come “deciso autonomamente dalla Duma (il parlamento russo n.d.r.), che risponde alla pubblica opinione russa”. Ma la Duma, ha aggiunto, ha votato anche per “il riconoscimento della repubblica del Dombass”. E anche questo, beninteso, “autonomamente”. E qui si entra nel cuore della questione. Una guerra ai confini dell’Europa c’è già, è in corso dal 2014 anche se non attrae l’attenzione dell’Occidente, e scoppiò quando le comunità russofone dell’Ucraina si ribellarono al governo dì Kiev riuscendo ad autoproclamarsi repubbliche autonome. Da allora, combattimenti e sconfinamenti, con morti e feriti, sono all’ordine del giorno. La Russia sostiene fattivamente i separatisti, ma ufficialmente non compare, nemmeno negli accordi di Minsk con i quali, nel 2015, si cercò di congelare, se non gestire la situazione. Ora, per mettere in scena l’avvio del parziale ritiro delle truppe impegnate in “esercitazioni” lungo la frontiera con l’Ucraina, Putin vuole il rispetto degli accordi di Minsk. Che vengano protette dall’Osce quelle due repubbliche russofone e russofile in territorio ucraino sarebbe però anche rendere stabili e definiti i confini ucraini, cosa che è la principale condizione per la quale la NATO potrebbe prendere in considerazione di aprire le porte all’Ucraina. E proprio per questo, sempre ieri, nel far intravedere il ritiro delle truppe, Putin ha detto anche che la Russia pretende garanzie su questo punto, e le pretende “adesso”. La trattativa non può che passare per un allargamento agli Usa del formato a tre degli accordi di Minsk -Ucraina, Russia e Osce. E questo è l’altro obiettivo della spettacolare messa in scena russa, un dispiegamento dì mezzi militari da Terza Guerra Mondiale continuando a ripetere il mantra “non intendiamo fare nessuna guerra, sono solo esercitazioni militari”, e in risposta al “dislocamento di mezzi Nato alla nostra frontiera”, come ha ripetuto ieri Putin. L’ingresso di Kiev nella NATO, poi, non è mai stata una realtà concreta: l’Ucraina non ne ha i requisiti, e si valuta che non li avrà da qui a 10 anni. Quanto a Biden, ha ereditato da Trump, e in parte pure da Obama e dunque anche da se stesso, che la Russia sia tornata sulla scena internazionale a mostrare muscoli superpotenza militare: teorizzando che “gli Stati Uniti non possono essere il gendarme del mondo”, si è lasciato campo libero -anzi, praterie- a Mosca in tutto il Medio Oriente, dalla Siria, all’Iraq, sino alla Libia. Per non dire che il precedente sul quale si aperta la questione del Dombass si chiama Crimea: quando Putin se l’è annessa, previo referendum popolare che tutti gli osservatori sancirono come irregolare, l’Occidente non ha battuto ciglio. Inoltre, ingaggiare con Mosca una politica muscolare, se ha l’effetto collaterale di infastidire la Cina, può senz’altro aiutare l’amministrazione democratica in vista delle elezioni di mid-term: per gli americani, il presidente è sempre anzitutto il commander-in-chief. E da contrastare, c’è ben altro che il Partito Repubblicano, pur a trazione Trump: c’è la alt-right americana, la destra suprematista che per Trump è una manna dì voti, e che con i russi ha sempre giocato in ciber-attacchi e propaganda web per manipolare il voto americano.