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Un’immagine della manifestazione contro la riforma della prescrizione organizzata davanti a Montecitorio dall’Unione Camere penali lo scorso 28 gennaio
di Andrea Bernaudo* Quando il re inglese Giovanni Senza Terra, costretto dal suo Parlamento, emanò la famosa Magna Carta, il medioevo del diritto entrò, tutto d’un tratto, in un declino inarrestabile. Per la prima volta nella storia d’Europa un sovrano non avrebbe potuto più disporre a proprio piacere delle imposte del popolo, la cui tassazione sarebbe stata possibile solo previo consenso del Parlamento, e quindi dei rappresentanti legali dei cittadini stessi. Ugualmente, in assenza di una netta separazione dei poteri, la Magna Carta stabilì che nessuno avrebbe potuto essere trattenuto o imprigionato senza la celebrazione di un giusto processo. A dire il vero, questi che oggi paiono essere due pilastri scontati del diritto tanto è vasta la loro osservanza nei paesi civili e democratici di tutto il mondo, in Italia sono drammaticamente minacciati. Il sistema tributario e la giustizia, nell’Italia degli anni Venti del secondo millennio, sono due emergenze proprio come nell’Inghilterra del Trecento. La libertà, nell’economia così come nei processi, viene calpestata da uno Stato sempre più opprimente, e il sistema delle garanzie di due degli ambiti più preziosi per l’essenza stessa della democrazia è ormai carta straccia. Lo spettacolo indecoroso cui stiamo assistendo sulla riforma della prescrizione è solo l’ultima di una serie di limitazioni che il prepotente ritorno dello Stato del Leviatano sta attuando in Italia. E quando ciò accade i liberali hanno il diritto, il dovere, di opporsi e di denunciare lo scempio che si sta perpetrando. Stiamo inesorabilmente, e nel silenzio totale, scivolando verso un nuovo sistema inquisitorio. Il principio di non colpevolezza sta morendo di fronte alla furia giustizialista che domina al governo, un esecutivo che sta per approvare e introdurre un nuovo tipo di pena: non gli arresti domiciliari, non la detenzione in carcere ma il processo stesso. Con l’abolizione di fatto della prescrizione chiunque di noi potrà rimanere in balia delle lungaggini processuali per anni, più precisamente per decenni. La prescrizione, vista da alcuni ambienti come una beffa, è in realtà un istituto garantista e liberale, che limita la pretesa punitiva di quell’autorità che in dieci, venti, trenta anni non riesca, per le più svariate ragioni, a dimostrare la colpevolezza del (presunto) reo. Per evitare che un innocente, ma anche un colpevole (le garanzie, ebbene sì, valgono anche per i colpevoli) rimanga in balia del sistema giudiziario per un tempo indefinito, la legge impone che il processo si concluda entro un limite temporale definito. Questo perché le conseguenze di un processo non si esauriscono all’interno della sola aula di tribunale. Sequestri preventivi dei beni, gogna mediatica fino ai rapporti familiari e di lavoro sono le principali conseguenze di ciò che comporta un procedimento penale. Spesso, fin troppo spesso, specialmente in seguito ad una assoluzione, nulla è destinato a tornare come prima. E di queste conseguenze irreversibili nessuno, tranne l’imputato, è destinato a rispondere. Ebbene, con questa scellerata riforma succede che la patologia del sistema, il ritardo, divenga esso stesso legge dello Stato. Colpevole o innocente non importa: chiunque di noi sarà costretto a pagare prima, scontando senza alcun titolo una pena preventiva. L’assurdità di questa legge liberticida sarà forse destinata a cessare grazie al giudice delle leggi, quella stessa Corte costituzionale che ha cassato la cosiddetta “Spazzacorrotti”, un’altra legge eversiva che lo stesso Avvocato dello Stato (l’avvocato del Governo) aveva criticato di fronte alla Consulta. E questo dopo che ben diciassette giudici ne avevano invocato l’illegittimità. Mai si era visto nella storia della Repubblica un simile spettacolo. Nell’attesa che anche quest’ultimo sfregio ai più elementari principi del diritto divenga solo un brutto ricordo, noi liberali dobbiamo continuare a far sentire la nostra voce. Esiste un’Italia migliore che lentamente, ma progressivamente, sta cominciando a uscire da quell’angolo in cui trent’anni di giustizialismo l’hanno relegata: anche qui, anche in Italia, il medioevo è destinato a tramontare. *presidente di Liberisti italiani