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di Errico Novi
«Disegno preordinato contro la magistratura? No, non è l’idea che mi sono fatto. Non è che ci vogliono affossare: vedo solo incapacità di comprendere i problemi della giustizia e sostanziale indifferenza». Carlo Nordio è disincantato, non scorge perfide macchinazioni, non cede al dietrologismo neppure ora che la mancata estensione della proroga lo mette a un millimetro dalla pensione, prevista il 6 febbraio e a questo punto, per lui, quasi inevitabile. Semplicemente diffida della capacità del legislatore «in materia di codice penale come di trattamento di noi magistrati». Aggiunto a Venezia, svolge funzioni di capo perché il 1° gennaio è già andato in pensione il procuratore Luigi Delpino: dopo una brillante carriera di inquirente assapora il gusto un po’ agrodolce di una funzione direttiva da svolgere per altre due settimane appena. «Ma il pensionamento arriva per me a un età giusta. Il problema non è personale ma ordinamentale: senza la proroga sono già andati in pensione 100 magistrati a gennaio, ancora di più si congederanno nei prossimi mesi, si tratta di uno tsunami senza precedenti per i vertici degli uffici, del tutto insensato: non si risparmia una lira, i magistrati anziani al massimo della carriera percepiscono una pensione identica all’ultimo stipendio. Almeno una parte di noi andrà sostituita, le nuove assunzioni hanno un costo e poi non è che si entra in servizio il giorno dopo aver vinto il concorso…». Il suo scetticismo riguarda anche le regole sull’attività politica dei giudici: reclamate l’altro ieri dal Gruppo anti– corruzione ( Gr. e. co.) del Consiglio d’Europa. «Quella che giace ora in Parlamento si può approvare in mezza giornata». È ferma da quasi tre anni.
Partiamo dal richiamo di Strasburgo. Tra richieste di trasparenza sul reddito dei giudici e di controlli sulla gestione dei fascicoli, si adombra lo spettro di magistrati corruttibili o almeno pesantemente condizionabili. E questo, me lo lasci dire, non ha senso. Alla magistratura italiana si possono cointestare tante cose, ma a parte casi rarissimi non è la corruzione il problema. Casomai lo sono certe scelte improprie come quella di fare politica.
La proposta di legge è passata al Senato ed è ferma a Montecitorio da quasi tre anni, come ha ricordato il laico del Csm Zanettin. Premessa: resto convinto che ai magistrati l’attività politica vada impedita persino quando sono ormai in pensione. Diventa un problema a maggior ragione quando si tratta di inquirenti che hanno condotto inchieste ad altro coefficiente politico: la loro attività può finire per essere letta come un preordinato disegno per prepararsi una cuccia calda prima di andare a riposo. E poi c’è un’altra ragione, più sottile ma altrettanto importante.
Quale? Un magistrato che magari si è guadagnato una certa fama con la propria attività, se entra in politica finisce per sfruttare quell’immagine alterando così la par condicio con gli altri candidati.
È un’ammissione che le fa onore. Non ho problemi a riconoscerlo perché lo verifico di persona: mi capita cioè di essere fermato per strada e di sentirmi dire ‘ ah, è stato proprio bravo con quell’inchiesta sul Mose, dovrebbero fare tutti come lei…’. Vero o falso che sia, ho fatto semplicemente il mio dovere e non credo che da questo sia giusto ricavare vantaggio.
Il Csm suggerisce di impedire il rientro in magistratura a chi è stato in Parlamento. Certo che non dovrebbe rientrare. L’unico problema è che per limitare l’ingresso in politica o il ritorno alle funzioni giurisdizionali credo serva almeno inserire in Costituzione una riserva di legge. Con la Carta vigente si rischia di violare il principio di uguaglianza.
La legge ferma a Montecitorio si limita a vietare per due anni l’esercizio della funzione di magistrato nello stesso collegio dove si era stati eletti. E per una norma del genere non serve ritoccare la Costituzione: la si approva in mezza giornata.
Ma i deputati della commissione Giustizia dicono: abbiamo accantonato quel testo perché nel frattempo abbiamo cambiato il codice antimafia, le norme sulle confische, le pene per il caporalato e tanto altro ancora. Ho presieduto una commissione per la riforma del codice penale: parliamo di strutture complesse e organiche, ed è sempre un errore modificarle in modo frazionato, o le si rende sempre più instabili. Il nostro codice porta ancora le firme di Mussolini e Vittorio Emanuele III, su materie come la disponibilità del diritto alla vita è tipicamente fascista. Meriterebbe di essere cambiato radicalmente, non di volta in volta con l’eliminazione di discriminanti sui diritti di difesa, con nuove aggravanti, nuovi reati o nuove pene.
E invece questo si è fatto. Se uno apre il codice trova più frasi in corsivo che in grassetto, vuol dire che soppressioni e aggiunte superano la norma originale: così la certezza del diritto va a ramengo. Ai politici d’altra parte interessa finire sui giornali con le leggine ad hoc, che assecondano l’emotività del momento, come per l’omicidio stradale.
D’accordo, si è esagerato che l’introduzione di nuovi reati, ma se per regolare almeno un po’ l’attività politica di voi giudici basta mezza giornata, perché non lo hanno fatto? Avevano timore di mettersi contro di voi? Questo è di gran lunga il governo che ci ha maltrattato di più. Altre volte abbiamo subito aggressioni, ma da quelle è più facile difendersi. Stavolta siamo stati semplicemente presi in giro, e almeno su questo sono d’accordo con Davigo. Parlo delle norme sui trasferimenti come di quelle sulle pensioni.
Condivide la decisione dell’Anm di disertare la cerimonia in Cassazione? Sì, la risposta dell’Anm è stata la migliore, sono sempre stato contrario allo sciopero e d’altra parte un segnale forte andava dato: non partecipare alle inaugurazioni è la cosa più giusta.
Due giorni prima Davigo vedrà Orlando. L’incontro del 24 rischia di essere una barzelletta: nell’occasione precedente c’era anche il presidente del Consiglio e agli impegni presi non è seguito nulla, stavolta c’è solo il ministro che è sempre lo stesso. Non vedo l’utilità ma chissà, spero si rendano conto dell’errore sulle pensioni.
Va a finire che la proroga arriva il giorno dopo che si sarà dovuto congedare lei. Eh già, ma vede, siamo preparati a tutto. Avremmo preferito ci fosse risparmiato un trattamento che non usano neppure le persone maleducate nei confronti delle colf. So solo che Venezia resterà nelle mani di un aggiunto costretto a fare il lavoro di tre persone, e che ci vorrà un anno per nominare un nuovo capo. Qui e in tanti altri uffici, e nessuno ha spiegato che senso abbia tutto questo.