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Presidente Silvio Berlusconi, ritiene la vittoria del centro-destra vicina? Tutti i dati in nostro possesso, ma anche le sensazioni che ricavo dai tanti incontri di questi giorni, confermano che siamo avviati a vincere. Comunque, siamo l’unico schieramento che ha la possibilità di raggiungere e superare il 40% dei voti, che consente di avere una maggioranza parlamentare. Sia i Cinque Stelle che a maggior ragione il PD sono lontanissimi da questo risultato. Quindi l’unica alternativa alla nostra vittoria è un parlamento paralizzato e nuove elezioni a breve. Per questo continuo a ripetere che l’unico voto utile è quello per noi. Parafrasando Nenni, potrei ripetere che questa volta la scelta è “o Forza Italia o il caos”. Sono convinto che gli elettori, anche quelli in fuga dal PD, rifletteranno su questo. In caso di vittoria, qualcuno si chiede come farà a governare con un alleato come la Lega di Matteo Salvini, che si attesta su posizioni più estreme di Forza Italia. Sarà un problema? Matteo non è un estremista. Usa il linguaggio che piace alla sua gente, un linguaggio e uno stile che sono evidentemente diversi dai miei. Ma sulle cose è un interlocutore serio, concreto e ragionevole. Con la Lega governiamo insieme, con ottimi risultati, alcune delle maggiori regioni italiane, abbiamo governato il Paese per molti anni, e non c’è mai stato nessun problema di sintonia. Lei, Presidente, vuole un centro-destra guidato dalla componente moderata e liberale, rappresentata appunto dal partito azzurro. A quale soglia di consensi realisticamente pensa di arrivare per raggiungere questo obiettivo? Non mi pongo limiti, ma sono certo che possiamo superare il 20% e puntare al 25%. Gli ultimi giorni sono quelli nei quali molti elettori decidono. Mi rivolgo soprattutto a loro, agli incerti e ai delusi: votare per noi non è soltanto un atto di fede politica, significa anche votare per i loro legittimi interessi concreti. Meno tasse, meno burocrazia, più sicurezza, più lavoro. Siamo gli unici a poterli garantire, ad avere programmi seri e credibili, incentrati sulla riforma fiscale, la flat tax che in tanti Paesi del mondo, da Hong Kong alla Federazione Russa ha garantito non soltanto un alleggerimento della pressione fiscale ma una crescita straordinaria. Il nostro programma – vorrei ricordarlo – ha come priorità il lavoro per i giovani, lo sviluppo del sud, la garanzia di pensioni adeguate agli anziani, almeno 1000 euro al mese per 13 mensilità, il reddito di dignità per i 15 milioni di italiani che sono sotto la soglia di povertà. Voglio restituire una speranza agli italiani scettici e delusi. Credo di avere la competenza e l’esperienza, non solo politica, necessaria per poterlo garantire. Salvini, che si presenta in virtù del Rosatellum, candidato premier del Carroccio, riuscirà mai a coronare il suo sogno? Se prendesse un voto più di noi, lo sosterremmo con piena lealtà. Ma questo stavolta non accadrà. Però Matteo è giovane, verrà anche il suo momento, ne sono certo. Dopo i tragici fatti di Macerata, Forza Italia è parsa inseguire il leader leghista per non lasciare a lui mano libera sull’immigrazione. Ma non si rischia così di perdere gli elettori moderati, il cosiddetto centro che potrebbe spaventarsi per certi toni? Guardi che io non inseguo proprio nessuno. Trovo sbagliato ridurre a una questione di tattica politica o di calcolo elettorale un problema che invece è di drammatica gravità. I fatti di Macerata hanno avuto se non altro l’effetto di mettere tutti di fronte alla realtà: l’invasione di 600.000 clandestini è una bomba ad orologeria che i governi della sinistra hanno permesso venisse collocata in mezzo a noi. La necessità che siano rimpatriati mi pare così evidente che mi stupisco che qualcuno non sia d’accordo. E’ una questione di rispetto della legalità ma anche di buon senso. Come possiamo immaginare di tenere in mezzo a noi la popolazione di una città grande come Genova o Palermo, fatta esclusivamente di persone disperate, ai margini della legge, costrette a vivere di espedienti o di reati? L’Italia non è un Paese razzista, lo sparatore di Macerata è un folle isolato, ma se non facciamo nulla prima o poi le tensioni sociali esploderanno. La sinistra non se ne vuole rendere conto, e in questo si dimostra irresponsabile. Lei si pone come l’argine vero contro “il pericolo” dei Cinque Stelle, giudicando il Pd “fuori gioco”. Perché questa impostazione? Lo dicono i numeri, ma anche lo scenario politico non solo italiano ma europeo. In tutto il nostro continente la sfida è fra ribellisti, pauperisti, giustizialisti, siano essi di destra o di sinistra, e i moderati, i liberali, i cristiani, le forze politiche espressione della grande famiglia del PPE. Nei giorni scorsi in Germania è uscito un sondaggio con un dato che considero epocale: per la prima volta dal dopoguerra i socialdemocratici non sono più il secondo partito tedesco. Sono stati superati dalla destra populista di Alternative für Deutschland. Per fortuna la CDU della signora Merkel tiene ed anzi guadagna consensi.Il fatto è che la sinistra, al di là degli errori o delle qualità dei singoli leader, non ha più una proposta credibile, un progetto per il 21° secolo. Sono rimasti legati alle vecchie ricette, già fallite nel ‘900, dello statalismo, dell’assistenzialismo, del fiscalismo esagerato. Il futuro della politica non è più lì. E’ nell’alternativa fra la cultura liberale di governo, e il ribellismo che nasce dal malessere sociale. La grande sfida delle classi dirigenti liberali è dare a quel malessere, che è economico ma anche espressione di una più generale sfiducia nel futuro, una risposta convincente prima che sia troppo tardi. I più maliziosi pensano a un patto di non belligeranza tra Lei e Matteo Renzi per non precludersi la strada alle larghe intese, se dalle urne non uscirà un vero vincitore. È così? Credo che una delle pochissime cose sulle quali Renzi ed io siamo d’accordo sia nell’escludere questa ipotesi. Lei si è detto contrario alla stessa parola “inciucio” perché non definirebbe mai così la Grande Coalizione tedesca. A Giorgia Meloni la cosa non è piaciuta. Come si spiega che in Italia sia entrato in voga questo termine? L’Italia e la Germania hanno storie e condizioni politiche molto differenti. In Germania i maggiori partiti hanno in comune una visione responsabile dell’interesse nazionale ed europeo. In Italia purtroppo questo denominatore comune, questa visione di fondo condivisa non esiste. E’ uno dei limiti della democrazia italiana, ma è un dato di fatto. Per questo in Germania la Große Koalition è un’operazione di grande dignità politica, mentre in Italia sarebbe un accordo di potere paralizzante, insomma quello che viene chiamato un inciucio (ma è un termine dalemiano, che non mi piace). Rimane comunque il fatto che io preferisco la democrazia dell’alternanza a qualsiasi altra formula, e ritengo che, anche per la Germania, la Große Koalition sia solo una soluzione di emergenza, indicativa di una fase di difficoltà del processo politico. E’ stato ricevuto dai vertici del Ppe a Bruxelles, che guardano a Lei come garanzia di stabilità. Si è preso una rivincita sulla signora Merkel dopo i famosi risolini tra la Cancelliera e Sarkozy? Guardi, quell’episodio è stato una spiacevole e imbarazzante trappola orchestrata dal Presidente Francese, in quel momento molto ostile all’Italia per la questione libica, nella quale la signora Merkel si è trovata coinvolta suo malgrado e in forte imbarazzo. E per quell’episodio mi ha chiesto formalmente scusa. Quell’episodio non ha certo compromesso i nostri eccellenti rapporti, esattamente come non li hanno scalfiti le volgarità che sono inventate da alcuni giornali. Non avevo bisogno di rivincite, la stima reciproca non è mai venuta meno, da parte mia considero Angela Merkel uno dei pochi statisti di quest’epoca difficile, e lei ha sempre rispettato le nostre posizioni, anche quando ho dovuto difendere con forza l’interesse nazionale italiano o perseguire dei risultati sui quali non c’era accordo: penso alla nomina di Mario Draghi alla guida della BCE, ottenuta dal mio governo contro il parere della Germania. Conferma che se il centro-destra non dovesse farcela, bisognerebbe andare a un nuovo voto, però dopo aver cambiato la legge elettorale e che quindi per questo lasso di tempo dovrebbe restare in carica il governo Gentiloni? Confermo che in questa ipotesi, che però considero irrealistica, bisognerebbe andare di nuovo al voto. Il fatto che rimanga in carica Gentiloni per il disbrigo degli “affari correnti”, in quel caso non è un mio auspicio né un’indicazione politica, è una prassi costituzionale che non ha alternative. Fino a quando non c’è una maggioranza per fare un nuovo governo, rimane in carica quello vecchio. Quanto alla possibilità di cambiare la legge elettorale, mi sembra molto difficile: in questo parlamento abbiamo raggiungo il migliore compromesso possibile fra le visioni delle diverse forze politiche. Non vedo come nel prossimo, per di più in assenza di una maggioranza, si potrebbe fare di meglio. In ogni caso, prima di parlare di cambiamenti alla legge elettorale, forse è il caso di provarla e di vedere come funziona, anche perché non fa bene alla democrazia cambiare le leggi elettorali troppo spesso. Antonio Tajani, Presidente del Parlamento Europeo e tra i fondatori di Forza Italia, come candidato Premier sarebbe per Lei “una scelta ottima”. Ma ha anche aggiunto che ci sono altri. Chi sono? In effetti Antonio Tajani, uno dei fondatori con me di Forza Italia, sarebbe un premier di grande livello, stimato ovunque in Europa e nel mondo. Questa però è una constatazione, non una proposta né un’indicazione. Non risponderò a domande come questa fino a quando non avremo preso una decisione definitiva. Però vorrei chiarire una cosa: chiunque sceglieremo sarò comunque io il garante politico dei nostri impegni verso gli elettori, e verso i nostri partner nel mondo, anche se una sentenza politica e infame mi impedisce di avere ruoli pubblici. Questa è la ragione per la quale sulle schede elettorali c’è il mio nome. A proposito, posso ricordare ai lettori che questa volta votare è semplicissimo? Basta mettere un segno sul simbolo del partito prescelto, naturalmente Forza Italia, e il voto varrà sia per il candidato della parte uninominale che per i candidati di quella proporzionale. Ogni altro segno sulla scheda potrebbe disperdere o annullare il voto. Tra poco, il 27 marzo, sarà l’anniversario della sua prima vittoria di 24 anni fa. Tra i suoi principali avversari ci sono stati Achille Occhetto che sconfisse nel ’94 e poi Massimo D’Alema con il quale fece anche la Bicamerale. Che differenza vede tra gli ex comunisti di allora e Renzi? La differenza sta proprio nel fatto che quei leader erano comunisti, erano cresciuti con le idee comuniste, erano stati formati dal Partito Comunista. D’Alema come è noto tenne il suo primo discorso pubblico davanti a Togliatti, che espresse profondo apprezzamento. Renzi rappresenta, non solo generazionalmente ma anche culturalmente, una profonda cesura rispetto a quella storia. Non per caso, le sue prime foto note lo ritraggono sorridente con Ciriaco De Mita. Questa rottura con il passato è certamente un merito di Renzi: però il PD, tagliate quelle radici, è rimasto una scatola vuota, senz’anima, senza valori, senza altra funzione che un esercizio del potere fine a sé stesso. Un esercizio che si è rivelato sterile, tanto è vero che oggi il voto a quel partito è sostanzialmente sprecato. Intanto, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, sebbene sia gravemente malato, continua a restare in carcere. Come si spiega questo accanimento che “Il Dubbio” è stato in prima fila nel denunciare? Mi levo il cappello di fronte al coraggio e all’onestà intellettuale del "Dubbio" e del suo direttore che – da nostro avversario politico – ha dimostrato, in questa come in altre vicende, di avere a cuore i principi dello stato di diritto prima che l’interesse di parte. La vicenda di Dell’Utri mi fa stare fisicamente male ogni giorno, perché è un mio amico che subisce questo trattamento per il solo fatto di essere mio amico. Cosa pensa di questo paragone giudicato un po’ shock che Renzi ha fatto tra Craxi e Di Maio a proposito della vicenda cosiddetta “rimborsopoli” dei Cinque Stelle, seppur ci sia stata poi una precisazione? Che è profondamente offensivo per la memoria di Bettino: Craxi era uno statista, Di Maio è un piccolo politicante.