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C’era una clausola, prevista dal Tavolo di confronto tra Cnf e ministero della Giustizia all’epoca della prima stesura dell’equo compenso: vi si definiva vessatoria “l’attribuzione al cliente della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che l’avvocato deve eseguire a titolo gratuito”. La norma è uscita indenne dai vari passaggi affrontati dal provvedimento, e da tre mesi è pienamente in vigore.
Ebbene, a quella regola di equità fa riferimento ora il governatore della Toscana Enrico Rossi nel rivendicare per la propria amministrazione un record: «Siamo i primi a dare attuazione al principio dell’equo compenso: attraverso una delibera approvata dalla giunta nella sua ultima seduta, abbiamo previsto che ai professionisti destinatari di incarichi o a chiunque sia chiesto di effettuare prestazioni aggiuntive non potranno più esser corrisposti compensi non correttamente parametrati né, a maggior ragione», appunto, «potranno essere imposte prestazioni aggiuntive a titolo gratuito».
Nelle parole del presidente toscano si certifica un dato: l’equo compenso voluto dagli avvocati e, in seguito alla loro iniziativa, esteso a tutte le categorie professionali, si è già affermato pubblicamente, in forma concreta, come un principio basilare. A pochi mesi dalla battaglia condotta dal Cnf, la decisione della giunta Rossi segna dunque un punto di verifica importante.
La misura evocata dal governatore è stata concepita, su proposta dell’assessore alla Formazione e al lavoro Cristina Grieco, per «garantire un equo compenso per i professionisti incaricati della progettazione di opere pubbliche e per altre figure professionali alle quali vengano richieste prestazioni aggiuntive rispetto a quelle previste dal mansionario o di effettuare servizi esterni».
Nella relazione tecnica si fa menzione anche della professione forense come specifica, possibile destinataria delle disposizioni. Così come vengono citati i commercialisti, i notai, gli assistenti sociali, i consulenti del lavoro. Bastano le parole di Rossi, raccolte dall’Adn– kronos, a comprendere come il passo compiuto dalla Toscana sia importantissimo per almeno tre motivi essenziali.
Innanzitutto, quando il governatore fa riferimento a retribuzioni che dovranno essere «correttamente parametrate», chiama in causa l’aspetto essenziale della norma sull’equo compenso, ovvero il fatto che le prestazioni debbano essere retribuite in modo rispettoso della dignità del professionista. C’è quindi l’altro paletto, richiamato all’inizio: il divieto di pretendere prestazioni aggiuntive a titolo gratuito. Così come molto significativa è un’altra dichiarazione di Rossi, in cui il presidente della Toscana spiega che la sua giunta ha approvato la delibera «nell’intento di dare applicazione al principio dell’equo compenso».
Vuol dire che trova concreta attuazione uno dei commi inserirti durante l’esame del provvedimento a Palazzo Madama, secondo cui appunto le misure concepite innanzitutto per i rapporti tra avvocati e grandi committenti non possono certo essere trasferite in maniera letterale ai rapporti con la pubblica amministrazione, ma quest’ultima è comunque tenuta a garantire l’equo compenso in quanto principio. A Firenze si dà prova dunque che la misura varata in autunno è assolutamente efficace nel riequilibrare anche le prestazioni professionali svolte in ambito pubblico.
«A queste regole si atterrà per prima la Regione Toscana, ma sono tenuti ad applicarle anche tutti gli enti dipendenti dalla Regione stessa, come quelli del sistema sanitario regionale, l’Arpat, Toscana promozione, Artea, Toscana sviluppo, l’Azienda regionale per il diritto allo studio universitario, l’Autorità portuale regionale e i parchi regionali», spiega ancora Rossi. A ulteriore riprova dell’impatto potenzialmente enorme che l’equo compenso è in grado di avere sulla dinamica del lavoro.