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Ventiquattro ore dopo aver querelato 147 persone per gli insulti e le minacce ricevuti dopo l’indagine a suo carico, per il sindaco sospeso di Bibbiano, Andrea Carletti, è arrivata la revoca degli arresti domiciliari, disposti tre mesi fa nell’ambito dell’inchiesta “Angeli e Demoni”, della procura di Reggio Emilia, sulle presunte irregolarità nell’affido dei minori.
A deciderlo il Tribunale della Libertà, che ha disposto l’obbligo di dimora nel Comune di Albinea, dove risiede. L’uomo diventato simbolo, per la gogna mediatica, del “metodo Pd” sugli affidi, è in realtà accusato dalla procura di abuso d’ufficio e falso ideologico. A Carletti, avevano precisato gli inquirenti subito dopo il deflagrare della notizia, viene contestata la violazione delle norme «sull’affidamento dei locali dove si svolgevano le sedute terapeutiche».
Non è minimamente contestato, dunque, «il concorso nei delitti che in quei locali avevano luogo». Ma secondo l’accusa, il sindaco avrebbe avuto «un ruolo decisivo», permettendo nella sua veste pubblica, prima la destinazione senza gara alla struttura “La Cura” di un immobile pubblico a Bibbiano, poi l'affidamento a psicoterapeuti come Claudio Foti e Nadia Bolognini, entrambi indagati, della terapia dei minori affidati alla Val d'Enza. E i magistrati parlano dunque di un’adesione a quello che viene definito “Metodo Foti”, anche se determinata da mere motivazioni politiche: per l’accusa, infatti, creare un centro con esperti famosi come quelli della onlus “Hansel e Gretel” avrebbe accresciuto il suo potere politico con un forte ritorno di immagine.
Secondo i il Tdl, dall'interrogatorio di Carletti emergerebbe «la volontà di proseguire la sua carica di sindaco di Bibbiano con un metodo di azione volto alla mera realizzazione di fini politici, indifferente alle regole e alla normativa sottostante». Ed è per questo motivo che per il collegio dei giudici «sussiste tuttora il pericolo di reiterazione di reati dello stesso tipo».
L'atteggiamento del sindaco, dunque, sarebbe rimasto immutato, «non avendo determinato il tempo di tre mesi decorso in regime cautelare alcuna modifica nel suo atteggiamento», deduzione per la quale i giudici si richiamano all'interrogatorio del 12 agosto. E i rapporti politici sul territorio sarebbero rimasti intatti, rendendo dunque plausibile il rischio di poter influenzare qualcuno all’interno dell’amministrazione comunale fino a tre mesi fa da lui guidata.
La permanenza coatta ad Albinea basta, perciò, a scongiurare qualsiasi rischio, secondo i giudici, non potendo, in tal modo, svolgere attività pubblica e soprattutto mantenere legami e influire su amministratori e dipendenti di enti locali territoriali a lui vicini. «L’isolamento a cui l’obbligo di dimora lo costringe - si legge nell’ordinanza appare misura adeguata e sufficiente al fine di recidere per il momento i contatti con il mondo professionale e pubblico in cui si collocava, ritenendo che anche i contatti via telefono o telematici saranno depurati di ogni possibile connotazione di reiterazione o inquinamento, alla luce della serra attività di intercettazione già svolta nel corso dell’indagine».
Il ricorso per la revoca dei domiciliari, presentato dagli avvocati Giovanni Tarquini e dal professor Vittorio Manes, era stato discusso lunedì scorso. La decisione del Riesame, ha commentato Tarquini, «ha ridato un po’ di libertà al mio assistito. Avevamo chiesto la revoca della misura cautelare, questa è una decisione che l’attenua: è un miglioramento e un piccolo passo verso importanti chiarimenti». Una decisione, secondo Manes, che riporta le contestazioni «a una dimensione diversa e molto più contenuta rispetto a quella che gli effetti distorsivi della fortissima campagna mediatica avevano determinato. Ne escono ridimensionati anche i termini di gravità indiziaria e di necessità cautelare di questa vicenda». Intanto giovedì il tribunale di Bologna aveva rigettato un appello della Procura di Reggio Emilia su un'altra imputazione, per la quale la misura cautelare era già stata negata.
«Su questa vicenda - ha aggiunto Manes - va tracciata una linea di distinzione molto chiara tra le presunte irregolarità amministrative che concernono l'affidamento del servizio da una parte e le modalità e le presunte distorsioni dello svolgimento del servizio di psicoterapia dall'altri». E gli i reati contestati a Carletti «si muovono solo sul primo versante ha concluso - e non hanno nulla a che vedere con i presunti abusi terapeutici» . I giudici, nel delineare la personalità di Carletti, fanno riferimento ad un episodio risalente al 2018, quando il sindaco sospeso si interessò in prima persona «circa la prosecuzione del metodo fino ad allora attuato, con cui si affidavano i minori in carico al Servizio sociale» a psicoterapeuti della Onlus piemontese “Hansel e Gretel”. Carletti si sarebbe adoperato per reperire un immobile a Bibbiano da adibire a nuova sede, dopo la dismissione della vecchia sede, oggetto di indagini per irregolarità amministrative, per far sì che la psicoterapia di Claudio Foti e dei suoi colleghi proseguisse.
La scelta di cercarlo proprio nel Comune da lui amministrato, secondo i giudici, rappresenterebbe la volontà di «voler proseguire nella politica sociale che lo vedeva paladino dei diritti dei minori abusati, tuttavia incurante delle modalità con cui tale nobile scopo era attuato, anche a costo di eludere la normativa in materia e di finalizzare l'impiego di denaro pubblico al suo progetto». Dalle intercettazioni era emersa anche una sua disponibilità ad aiutare la onlus con la formazione di una comunità a Bibbiano, un centro di formazione che per il sindaco rappresentava «un buon progetto» e «un servizio alla comunità».