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Una «macchina organizzativa» che ha «in parte colmato i ritardi rilevati in occasione della prima ondata pandemica», in particolare con una «maggiore saldatura con il servizio sanitario nazionale e la regolare realizzazione di screening e verifiche sanitarie sulla popolazione detenuta». Così il Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà traccia un bilancio dal suo monitoraggio sui centri di permanenza per il rimpatrio: tutti i Cpr - si legge nel bollettino del Garante - si sono dotati di spazi per l’applicazione di misure di quarantena precauzionale o di isolamento, anche se tali ambienti non sempre rispettano gli standard internazionali sotto il profilo della sicurezza e, in qualche caso, non consentono un pieno e libero accesso alla libertà di corrispondenza telefonica. L’ingresso nelle strutture avviene esclusivamente sempre previo tampone con esito negativo e in alcuni Cpr solo dopo un periodo di quarantena precauzionale. Tali misure, osserva il Garante, «sembrano aver contenuto il rischio di contagio: infatti, solo due Cpr riferiscono di aver avuto casi di persone risultate positive». Sotto il profilo delle condizioni igienico-sanitarie, gli enti gestori riferiscono la periodica sanificazione e igienizzazione degli ambienti detentivi e, riguardo alle procedure di dimissioni, «molto positiva», si legge nel report, sotto il profilo della tutela della salute individuale e pubblica è lo screening delle persone in uscita. Nonostante ciò, il Garante torna a sottolineare alcune «criticità», quali «l’esercizio della libertà di corrispondenza telefonica all’interno delle strutture di detenzione amministrativa, anche a causa di un’ampia difformità di prassi e regole organizzative: per quanto riguarda i sistemi di videochiamata - racconta nel bollettino - è emerso che, nella maggior parte dei Centri, l’utilizzo è limitato alla celebrazione delle udienze, in qualche caso ai colloqui con il difensore e alle audizioni con le Commissioni territoriali asilo». Un’unica struttura ha riconosciuto la possibilità di effettuare videochiamate ai familiari: «si tratta - scrive il Garante - di un segnale estremamente positivo che deve far riflettere su come in linea generale l’impatto dell’emergenza sanitaria sul diritto al mantenimento dei legami familiari e affettivi non sia stato mitigato con meccanismi compensativi, peraltro facilmente realizzabili considerato l’utilizzo di dispositivi di videoconferenza per esigenze di giustizia in quasi tutte le strutture». Infine, «preoccupa la mancata ripresa delle attività da parte di attori fondamentali per la tutela delle persone bisognose di protezione, come le associazioni contro la tratta di esseri umani», conclude il Garante.