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«Non sono ostativi alla concessione della detenzione domiciliare cd. ' in deroga' l'entità del residuo pena, né il titolo del reato in esecuzione, né l'attuale sottoposizione al regime differenziato di cui all'art. 41- bis ord. Pen», così ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. I penale, con la sentenza n. 29488, ritenendo che sia necessario provvedere ad una nuova valutazione delle esigenze sottese al caso in questione, annullando con rinvio per un nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma.
Viene così annullata l’ordinanza emessa in data 22 settembre 2017 dal Tribunale di Sorveglianza di Roma, la quale ha respinto le domande proposte da F. S., detenuto al 41 bis, per ottenere il differimento della esecuzione della pena o la detenzione domiciliare per grave patologia di natura psichica.
Secondo l’ordinanza del tribunale di sorveglianza la patologia psichica è «di certo presente ed è connotata da gravità, con recenti segnalazioni da parte del servizio sanitario di alto rischio autolesionistico», ciò tuttavia «non comporta la possibilità di applicare l'istituto del differimento della pena previsto dall'art. 147 c. p., né la detenzione domiciliare - sia pure in deroga alla ostatività essendo tali istituti limitati ai casi di gravi patologie di tipo fisico».
Il legale del detenuto al 41 bis ha proposto quindi ricorso per cassazione articolando distinti motivi che sostanzialmente vengono accolti. La Corte sottolinea soprattutto che – come emerge da varie sentenze della corte europea - le patologie psichiche possono aggravarsi e acutizzarsi proprio per la reclusione: la sofferenza che la condizione carceraria inevitabilmente impone di per sé a tutti i detenuti si acuisce e si amplifica nei confronti delle persone malate, sì da determinare, nei casi estremi, una vera e propria incompatibilità tra carcere e disturbo mentale.
La Cassazione evidenza anche come in mancanza di un intervento complessivo del legislatore, è il giudice a poter modellare, proprio attraverso il ricorso alla detenzione domiciliare ex art. 47 ter ord. pen., la misura in questione in modo da tutelare, da un lato, la salute psichica del condannato e, dall’altro, la tutela della collettività, proprio perché la collocazione del soggetto portatore della patologia psichica può non individuarsi necessariamente con il “domicilio” ma con il luogo più adeguato a contemperare le diverse esigenze coinvolte, con ovvia valutazione caso per caso ed apprezzamento concreto, «tanto della gravità della patologia che del livello di pericolosità sociale della persona di cui si discute».
La Corte ha precisato, come detto, che alla valutazione di applicabilità della detenzione domiciliare in deroga non può ritenersi di ostacolo né l'entità del residuo pena, né il titolo del reato in esecuzione, né la attuale sottoposizione del ricorrente al 41 bis.
Alla luce di tali considerazioni complessive, la Corte ritiene che sia necessario provvedere ad una nuova valutazione delle esigenze sottese al caso in questione, annullando con rinvio per un nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma.