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Ieri abbiamo lanciato dalle colonne di questo giornale un appello al presidente delle Repubblica perché conceda la grazia alla madre della bambina di 14 mesi detenuta a Cagliari. La piccola, reclusa con la mamma, è malata e recentemente si è dovuta operare, alla bocca e al palato, e ora ha bisogno di cure che in carcere non può avere.
L’articolo 87 della Costituzione prevede, infatti, che il presidente della Repubblica può, con proprio decreto, concedere grazia e commutare le pene. Si tratta di un istituto clemenziale di antichissima origine che estingue, in tutto o in parte, la pena inflitta con la sentenza irrevocabile o la trasforma in un’altra specie di pena prevista dalla legge ( ad esempio la reclusione temporanea al posto dell’ergastolo o la multa al posto della reclusione). Il procedimento di concessione della grazia è disciplinato dall’art. 681 del codice di procedura penale. La domanda di grazia è diretta al presidente della Repubblica e va presentata al ministro della Giustizia. È sottoscritta dal condannato, da un suo prossimo congiunto, dal convivente, dal tutore o curatore, oppure da un avvocato. Se il condannato è detenuto o internato, la domanda può essere però direttamente presentata anche al magistrato di sorveglianza. Il presidente del Consiglio di disciplina dell’istituto penitenziario può proporre, a titolo di ricompensa, la grazia a favore del detenuto che si è distinto per comportamenti particolarmente meritevoli.
Sulla domanda o sulla proposta di grazia esprime il proprio parere il Procuratore generale presso la Corte d’Appello o, se il condannato è detenuto, il magistrato di sorveglianza. A tal fine, essi acquisiscono ogni utile informazione relativa, tra l’altro, alla posizione giuridica del condannato, all’intervenuto perdono delle persone danneggiate dal reato, ai dati conoscitivi forniti dalle Forze di Polizia e alle valutazioni dei responsabili degli Istituti penitenziari. Acquisiti i pareri, il ministro trasmette la domanda o la proposta di grazia, corredata dagli atti dell’istruttoria, al capo dello Stato, accompagnandola con il proprio “avviso”, favorevole o contrario alla concessione del beneficio. Come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 200 del 2006, al capo dello Stato compete la decisione finale. L’art. 681 del codice di procedura penale prevede anche che la grazia possa essere concessa di ufficio e cioè in assenza di domanda e proposta, ma sempre dopo che è stata compiuta l’istruttoria. Se il presidente della Repubblica concede la grazia, il pubblico ministero competente ne cura l’esecuzione ordinando la liberazione del condannato.
Il presidente Mattarella, dall’inizio del suo insediamento, ha concesso finora 4 grazie a detenuti condannati per reati comuni, mentre Giorgio Napolitano è il presidente della Repubblica che ha concesso meno grazie durante il suo mandato. Nella classifica, infatti, il presidente della Repubblica dimissionario è ultimo per numero di grazie concesse: 23 nel primo settennato e neppure una dopo la rielezione. Considerando che le richieste giudicate ammissibili sono state oltre 1.800, si tratta dell’ 1,3 per cento. L’ultima grazia concessa da Napolitano – la penultima è stata concessa ad Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale - è spettata a Joseph Romano, colonnello dell’Air Force One, condannato nel 2012 nell’ambito della vicenda del rapimento dell’ex imam di Milano Abu Omar. Al tempo del sequestro, Romano era capo della sicurezza della base di Aviano dove venne portato l’imam prima del trasferimento prima alla base Nato di Ramstein e poi in Egitto. Napolitano è stato assai contenuto e in tre casi, durante il suo mandato, ha negato la clemenza nonostante il ministro della Giustizia avesse espresso parere favorevole. Nemmeno nel secondo mandato le occasioni sono mancate. Eppure solo nel primo anno il capo dello Stato ha respinto tutte le 320 richieste di clemenza che avevano superato la fase istruttoria.
Tutt’altra storia rispetto agli oltre 15mila atti di clemenza di Luigi Einaudi, in un’Italia segnata dalla violenza e dalla criminalità anche come conseguenza della dilagante povertà figlia della guerra. Fra i beneficiati, sebbene con suo profondo rammarico, ci furono anche numerosi collaborazionisti: quelli maggiormente responsabili erano riusciti a evitare le conseguenze dell’epurazione grazie all’amnistia di Togliatti e a Einaudi, come spiegò lui stesso, non sembrava giusto che alla fine gli unici a pagare fossero quelli meno coinvolti. Giovanni Gronchi ne concesse 7.423, Antonio Segni/ Cesare Merzagora 926, Giuseppe Saragat 2.925, Giovanni Leone 7.498, Sandro Pertini 6.095 e Francesco Cossiga 1.395. Dal presidente Oscar Luigi Scalfaro in poi, il numero della concessione della grazia è sceso vertiginosamente. Quest’ultimo concesse 339 grazie, a seguire Carlo Azeglio Ciampi con 114, fino ad arrivare a Napolitano con 23. Con Scalfaro siamo nel periodo di tangentopoli e le stragi mafiose: da allora ci fu un inasprimento delle pene, il ripristino della carcerazione dura con il 41 bis e fu modificato l’articolo della Costituzione riguardante l’amnistia.