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Anno 2015, Freital, sud ovest di Dresda, stato della Sassonia, Germania. Una tranquilla cittadina, strade ordinate intersecano il letto del fiume Weißeritz che scorre da sud-ovest a nord-est. La tipica popolazione tedesca, gente concreta, laboriosa. C’è qualche disoccupato come dovunque ma la maggioranza lavora, autisti d'autobus, fattorini, infermieri, orafi.Tutto ciò durante il giorno, tre anni fa però le notti di Freital erano ben diverse. Si era all’epoca dell’apertura, da parte della cancelliera Angela Merkel, delle porte del paese a centinaia di migliaia tra rifugiati e richiedenti asilo. Una decisione presa con fermezza anche se tra le proteste politiche e il rancore che covava tra la popolazione.Qualcuno provò a soffiare sul fuoco e mettere in atto una serie di azioni contro gli stranieri. E in Germania, non è difficile che si tratti di gruppi nazisti, già attivi durante tutto il primo decennio degli anni duemila, e responsabili di atti gravissimi. Il 2015 dunque fu l’anno del gruppo Freital.Gli attacchi iniziarono con aggressioni a rifugiati, anche con l’acido, attacchi incendiari contro edifici che ospitavano gli stranieri, centri di accoglienza, un attentato ai danni di un progetto di alloggio alternativo a Dresda, con il bilancio di due feriti. Ma ad essere presi di mira sono stati anche i militanti della sinistra. L’incendio di una sede del partito Die Linke e il ferimento di un suo esponente. La polizia mise sotto inchiesta otto persone, 7 uomini ed 1 donna, età comprese tra i 19 ed i 39 anni. Le accuse furono di quelle pesanti: costituzione di gruppo terroristico, tentato omicidio, lesioni gravi e attentati dinamitardi. Le pene variavano tra 1 a 10 anni e per il tentato omicidio fino a 15. Nel marzo dello scorso anno è iniziato il processo tra grandi misure di sicurezza in un edificio che, come contrappasso, in futuro ospiterà dei rifugiati. Dopo circa 60 udienze e una spesa di 5,5 milioni di euro, la scorsa settimana è stata emessa una sentenza definita da più parti esemplare. Timo Schulz, il capo del gruppo, e Patrick Festing, il suo vice, sono stati condannati rispettivamente a 10 e 9 anni e mezzo di carcere. Gli altri sei componenti, tra i 20 e i 40 anni, sono stati condannati a pene comprese tra 4 e 8 anni. L’accusa ha messo in evidenza che questo sarà l’atteggiamento, d’ora in poi, verso i reati riconducibili al terrorismo in quanto diretti contro la persona ma anche lo Stato, minandone la sua sicurezza. Per il procuratore capo Joern Hauschild non si trattava se Freital avrebbe potuto uccidere qualcuno ma solo di quando ciò sarebbe accaduto. Secondo i giudici invece le pene sono solo in linea con la gravità dei reati commessi che solo per una serie di circostanze non hanno provocato morti. I dati del Ministero dell’Interno parlano chiaro: nel 2017 le aggressioni nei confronti di richiedenti asilo e stranieri hanno raggiunto numeri impressionanti. 2000 attacchi di vario genere e circa 300 feriti. La giustizia tedesca quindi ha tenuto conto di ciò e ha usato la mano pesante. Ma forse la ragioni vanno cercate un’altra vicenda dai contorni nebulosi e che coinvolse le forze di polizia fino ad arrivare ai vertici del ministero dell’Interno. Tra il 2000 e il 2010 la Germania fu segnata da una scia di sangue lasciata dal gruppo neonazista Nsu (Nationalsozialistischer Untergrund). 10 omicidi, vittime furono 8 cittadini turchi, un greco e una poliziotta tedesca. Inoltre non vengono escluse diverse rapine e almeno un paio di attentati con esplosivo.Le modalità di agire dell’Nsu ricordano quelle della banda della Uno bianca in Italia, solo che la vettura era sostituita da un furgoncino, sempre Fiat e sempre bianco, con il quale il gruppo si spostava di città in città per uccidere. Il commando nazista era composto da Uwe Böhnhardt e Uwe Mundlos insieme a Beate Zschäpe.Le azioni dell’Nsu in realtà non avevano attirato l’attenzione “spasmodica” delle forze di sicurezza, il progetto terroristico-criminale non era stato mai disegnato completamente dagli inquirenti tanto da sollevare non pochi dubbi nell’opinione pubblica. Solo con l’uccisione di una poliziotta il cerchio si strinse attorno al gruppo che terminò la sua attività con il suicidio, nel novembre 2011, di Böhnhardt e Mundlos. Beate Zschäpe invecè si consegnò ed è ancora sotto giudizio. Il caso ebbe risonanza notevole e soprattutto venne messo in evidenza come durante le indagini si verificarono strani incidenti come la scomparsa di faldoni riguardanti alcuni omicidi. Circostanze che hanno spinto, l’anno scorso, l’avvocato di parte civile Fresenius a richiedere la convocazione, in qualità di testimone, dell’ex ministro degli Interni Otto Schily. Il sospetto è che la pista nazista fosse ben conosciuta ma per evitare danni d’immagine alla Germania si preferì cercare i responsabili tra la criminalità organizzata turca.