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Come per il fine vita, è una giurisdizione superiore a sciogliere il nodo del fine pena mai. Con la decisione di martedì, la Corte europea dei Diritti dell’uomo ha di fatto ordinato allo Stato italiano di eliminare l’ergastolo ostativo. Non solo, perché a breve la ritrosia dell’Italia a eseguire l’ordine rischia di essere superata dalla Corte costituzionale. Il 22 ottobre il giudice delle leggi potrebbe dichiarare illegittimo proprio l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, che condanna appunto alcuni ergastolani a morire in galera. Come per il caso Cappato, la Consulta pare destinata ad arrivare lì dove il legislatore è venuto meno.
Ieri la politica ha taciuto. O quasi. Si è accontentata del riverbero irradiato il giorno prima dalla decisione sull’ergastolo ostativo, con cui la Corte europea costringe di fatto l’Italia ad abolire l’istituto. Si sono subito diradati gli allarmi sulla «lotta alle mafie demolita», per citare il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si è limitato a sostenere che «il fine pena mai in realtà non esiste, c’è solo se un boss non collabora con la giustizia».
Fotografia proprio di quello status quo che i giudici di Strasburgo hanno censurato. Nella decisione di giugno, confermata martedì, la Corte europea dei Diritti dell’uomo ha infatti ricordato come sia lesivo della dignità umana subordinare alla “collaborazione” una pur lontana speranza di non morire in galera. Non solo, perché a breve la Corte costituzionale potrebbe eliminare, per lo stesso motivo, l’ergastolo ostativo dall’ordinamento italiano.
Uno scenario del tutto analogo a quello del fine vita. La politica resta inerte e una giurisdizione superiore la sostituisce. Dopo le iperboli indignate delle prime ore, governo, Parlamento e magistratura scelgono, sul fine pena mai, la prudenza e una certa sobrietà. Come ricordato ancora ieri dal Dubbio, il 22 ottobre la Consulta ha in agenda un’udienza sulla questione di legittimità dell’articolo 4 bis. È la norma, già travolta dalla censura europea, che preclude l’accesso ai benefici penitenziari, ivi compresa la liberazione condizionale, per alcuni reati, mafia e terrorismo in primis.
È appunto la disposizione che nega agli ergastolani ogni prospettiva di reinserimento sociale. A portare la misura dell’ordinamento penitenziario dinanzi al giudice delle leggi è stato il detenuto Sebastiano Cannizzaro, difeso dall’avvocato Valerio Vianello Accorretti. Si è quindi costituito nello stesso giudizio un altro “ergastolano ostativo”, Pietro Pavone, assistito dai legali Michele Passione e Mirna Raschi. Con l’ormai imminente pronuncia, la Corte costituzionale potrebbe compiere l’opera sollecitata dalla Cedu: eliminare l’ergastolo ostativo nella forma in cui è attualmente previsto dal diritto italiano. Di nuovo, dunque, e stavolta in modo irreversibile, sarebbe un’alta giurisdizione a sostituirsi alla politica.
Ed ecco il punto. La politica ha avuto le sue occasioni. La ha lasciate scivolare via. Lo ha fatto due anni fa, in particolare. Quando il Parlamento ha approvato la cosiddetta riforma Orlando, la legge 103 del 2017. Un testo molto articolato in cui era inserita anche la delega a riformare l’ordinamento penitenziario. Era l’occasione per eliminare una norma, come il 4 bis, chiaramente in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione. Ossia col divieto di pene inumane e con il loro fine necessariamente rieducativo.
L’allora guardasigilli Andrea Orlando aveva avuto un merito: istituire gli Stati generali dell’esecuzione penale. Accademici, avvocati, magistrati e politici ( come la dirigente radicale Rita Bernardini) che ne avevano fatto parte avevano espresso una chiara indicazione: superare l’articolo 4 bis, sottrarre gli ergastolani alla collaborazione quale sola via d’uscita. Ma con l’esame della legge il proposito venne tradito, perché l’articolo 4 bis, secondo la delega e il successivo decreto legislastivo ( emanato in via non definitiva il 22 gennaio 2018) mantenne l’ostatività per i reati di mafia e terrorismo. Cioè per la gran parte dei detenuti interessati.
Dal cono d’ombra del 4 bis vennero sottratte solo le fattispecie “monosoggettive” di alcunialtri reati: il sequestro di persona a scopo di estorsione, la tratta di esseri umani e alcuni delitti legati all’immigrazione. Tutti illeciti quasi sempre commessi, nella concreta realtà, in quell’ambito associativo per il quale l’ostatività sarebbe invece rimasta. Ad analizzare con straordinaria puntualità lo spiraglio quasi impalpabile aperto dal decreto Orlando rispetto all’ergastolo ostativo è stata anche un’analisi condotta nel marzo 2018 dall’Ufficio studi del Cnf.
Non solo quella riforma menomata, com’è noto, è stata tenuta nel cassetto dal governo Gentoloni. Non solo il successivo governo Conte e il nuovo guardasigilli Bonafede hanno archiviato del tutto il decreto Orlando, che avrebbe pur timidamente superato alcune preclusioni nell’accesso ai benefici penitenziari. Nei mesi successivi si è arrivarti, con la “spazza corrotti”, addirittura a estendere il 4 bis ai reati contro la pubblica amministrazione. Senza intervenire, evidentemente, sul carcere a vita, non previsto in quell’ambito, ma con una certificazione comunque chiara della direzione scelta.
Negli ultimi anni, dunque, il legislatore ha fatto di tutto per eludere il nodo dell’ergastolo ostativo. Ora, come avvenuto col fine vita, viene sostituita da una giurisdizione superiore. Costretta ancora una volta a ricordare quanto siano invalicabili i limiti posti dalla Costituzione a tutela della dignità umana.