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Anche la Turchia si preparare a varare un provvedimento per concedere l’amnistia ad un gran numero di detenuti per contenere l’avanzata dell’epidemia di coronavirus. ùInfatti nonostante le misure di blocco quasi totale della circolazione il numero di casi nell’ultima settimana è salito vertiginosamente dal 1872 a 13531.La misura, discussa ieri, riguarda almeno 90mila persone rispetto ai 300mila prigionieri che popolano i penitenziari turchi. Il disegno di legge del Parlamento parla di arresti domiciliari, libertà condizionale e dimezzamento delle pene. Potranno uscire dalle celle dunque appartenenti alla criminalità organizzata e i condannati per omicidio non premeditato. Non saranno però rilasciati tutti coloro che sono stati incarcerati perché ritenuti oppositori politici di Recep Erdogan. Le porte delle carceri non si apriranno per giornalisti, avvocati, difensori dei diritti umani vittime della repressione messa in atto dal regime, soprattutto dopo il tentativo di colpo di st ato del 2016.Nel paese sta montando la rabbia per questa discriminazione. Per Veysel Ok, condirettore della Media and Law Studies Association, organizzazione di difesa legale senza scopo di lucro,«questo atteggiamento mostra esplicitamente le intenzioni del governo: i criminali comuni verranno liberati ma i prigionieri politici rimarranno dietro le sbarre. E ciò in questo momento, in un certo senso, equivale a un verdetto di pena di morte». Le prime bozze della legge riguardavano anche gli autori di violenza sessuale e di genere, solo l’opposizione dei gruppi femministi è riuscita parzialmente a far rientrare questa intenzione. Molti commentatori si sono comunque dichiarati a favore del rilascio anticipato (soprattutto nella parte diretta agli over 65 e alle donne detenute con i bambini). Amnesty International però continua a guidare il fronte per la liberazione anche dei detenuti politici, in carcere rimangono infatti personaggi come Selahattin Demirtas e Osmala Kavala imprigionati in virtù della legislazione antiterrorismo che viene applicata a chiunque si opponga al regime . Secondo il ministro della Giustizia, Abdulhamit Gül, la pandemia non avrebbe fatto breccia nelle carceri sovraffollate della Turchia. Dichiarazioni contraddette da un medico ed esponente del partito filo curdo Hdp, Ömer Faruk Gergerlio secondo cui almeno un paziente positivo ai test è stato portato in ospedale proveniente dalla prigione di Sincan ad Ankara. Una rivelazione che gli è costata l’accusa di «provocare ansia, paura e panico». Non è in ogni caso negabile che in Turchia in molti sono detenuti con pene (preventive) lunghissime rendendo il sistema carcerario al limite della capienza, è stato calcolato che le prigioni sono già al 121% della loro capacità e che il governo ha intenzione di costruire almeno altri 100 istituti di pena. Una situazione che verrà aggravata dalla macchina repressiva che continua a funzionare a pieno regime. L’epidemia rischia di essere una mannaia ancora più pesante sugli oppositori politici come dimostra l’arresto di almeno 7 giornalisti imputati per diffondere il panico e l’indagine su 385 persone che avevano espresso critiche sui social per come viene gestita la crisi.