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Ogni giorno un grillino si sveglia e sa di dover aprire un fronte interno più velocemente degli alleati per sopravvivere. E così, se ieri era il Mes, oggi è la riforma della prescrizione a mettere a repentaglio la tenuta del governo. Il copione è sempre lo stesso: c’è un tema sul piatto, si apre un confronto ma il Movimento 5 Stelle sbatte la porta, chiudendo ogni discussione.
«Sulla prescrizione credo sia opportuno mettere le cose in chiaro. La nostra riforma dal primo gennaio diventa legge. Su questo non discutiamo», scrive il capo politico Luigi Di Maio su Facebook, che 24 ore prima aveva utilizzato espressioni simili a proposito del Fondo salva- Stati. «Ho capito che il Pd vorrebbe votare una legge con Salvini e Berlusconi per far tornare la prescrizione com’era ideata da Berlusconi. Sarebbe un Nazareno 2.0, ma avrò capito male io...», aggiunge il ministro degli Esteri, ottenendo in cambio la reazione stizzita degli alleati, convinti che il leader grillino stia giocando col fuoco pur di portare a casa qualche like.
Il premier, dal canto suo, tenta l’ennesima mediazione tra le parti, per andare incontro alle richieste di tutti i partiti ed elaborare «un sistema di garanzie che assicuri la durata ragionevole del processo», come invocato dal Pd. Ma i grillini non sembrano intenzionati a cedere. E se le parole del capo politico non bastassero, il copione prevede ormai l’intervento quotidiano di Alessandro Di Battista a rafforzare il concetto. Nel mirino del leader movimentista extraparlamentare finiscono «i pali renziani rimasti nel Pd», rei di aver definito la legge Bonafede che cancella la prescrizione dopo il primo grado di giudizio «“una provocazione del M5S”. Si dovrebbero vergognare», incalza Dibba. Che poi si associa all’analisi del capo politico: «Ha ragione Luigi, la norma che blocca la prescrizione entrerà in vigore il 1 gennaio. Punto. Se poi il Pd, con Salvini, Meloni, Berlusconi e Renzi dovesse bloccarla se ne assumerà le responsabilità».
A nulla vale ricordare la genesi di quella riforma, concepita all’epoca della maggioranza giallo- verde, con l’opposizione dell’attuale alleato di governo, il Partito democratico. Per il M5S la questione è già chiusa. L’atteggiamento, come prevedibile, non fa piacere ai dem, che a più voci rispondono a muso duro. «Di Maio forse non ha capito la gravità della situazione. Non faremo passi indietro. Consiglio al capo del M5S di smetterla con le provocazioni», mette in chiaro il capogruppo al Senato Andrea Marcucci.
Poi ci pensa Andrea Orlando a ribadire il concetto espresso martedì dal segretario Nicola Zingaretti: «La proposta Costa riproponeva la mia riforma della prescrizione, eppure non l’abbiamo votata: ora tocca a Bonafede mettere sul tavolo soluzioni. Quelle fin qui avanzate», secondo il numero 2 del Nazareno e predecessore dell’attuale guardasigilli, «non garantiscono la certezza dei tempi del processo. Bonafede ci deve dire se delle nuove proposte intende farle lui altrimenti le faremo noi».
Ma a innervosirsi con i grillini non sono solo i dem. Anche gli altri partner di governo, Italia viva e Leu, reputano irricevibile l’ennesimo ultimatum pentastellato. Se l’estrema sinistra chiede di rinviare l’entrata in vigore della riforma, i renziani si spingono molto oltre. Ad aprire le ostilità è proprio l’ex premier che, intervistato dal Messaggero, spiega: «Volere una giustizia senza fine significa proclamare la fine della giustizia. E non abbiamo cambiato idea», dice Renzi, dichiarandosi indisponibile a inchinarsi «al populismo giudiziario imperante».
E in mancanza di un accordo «voteremo il ddl di Enrico Costa, persona saggia e già viceministro alla Giustizia del mio governo», aggiunge, minacciando di creare un asse con le opposizioni. Stessa linea seguita dal capo dei senatori renziani Davide Faraone, che rincara la dose: «Se il tema è prescrizione o morte, allora morte sia». Tradotto: se i Cinquestelle tirassero troppo la corda alla fine si spezzerebbe. Il partito di maggioranza relativa, finirebbe in minoranza in Parlamento, unico partito a sostenere una legge ritenuta inadeguata da tutte le altre forze politiche.
Non a caso Forza Italia insiste col presidente della Camera, Roberto Fico, per calendarizzare la proposta Costa, che di fatto cancella la riforma della prescrizione, prima dell’entrate in vigore della nuova legge ( il primo gennaio). Difficile che vengano accontentati, visto il calendario fitto da qui a fine anno - tra manovra, dl Fisco e altri decreti in scadenza - ma con un fronte parlamentare così ampio contrario alla riforma Bonafede l’ultimatum grillino potrebbe trasformarsi in un boomerang. Sempre che il governo sopravviva alla prova del Mes, ritenuto immodificabile dal presidente dell’Eurogruppo. Per Di Maio è compagni il 2019 potrebbe concludersi col botto.