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«Condivido e sottoscrivo l’appello del Consiglio Nazionale Forense al governo per tutelare i diritti dei senza fissa dimora, di chi vive in accampamenti informali o ripari di fortuna e dei richiedenti asilo». Don Marco Pagniello, responsabile delle politiche sociali e promozione umana di Caritas Italiana, è in piena sintonia con chi, come il Cnf, chiede di garantire i diritti dei più deboli. «Il rischio di questa emergenza è che gli ultimi diventino ancora più ultimi».
A chi si riferisce?
Ai senza fissa dimora che in questo periodo stanno vivendo un momento di grandissima difficoltà. Giustamente è partita l’iniziativa “# Iorestoacasa”: uno slogan molto bello, ma che ha fatto ancora di più emergere la condizione dei senza fissa dimora che una casa non ce l’hanno. Una situazione con la quale noi della Caritas facciamo i conti tutti i giorni e in questo periodo di pandemia i senza fissa dimora rischiano di ammalarsi e fare ammalare. Così come i rom e i giostrai, la cui sussistenza era legata a piccoli guadagni che in questo periodo sono inesistenti.
E la Caritas ha lanciato la Campagna ' Emergenza Coronavirus: la concretezza della Carità'.
Noi, come sempre, partiamo dalla pedagogia dei fatti. La carità, l’amore per il fratello deve essere qualcosa di tangibile e concreta. Per noi chi è in difficoltà deve essere sollevato immediatamente, non deve essere una sua fatica. Così le Caritas diocesane e quella italiana stanno facendo un fortissimo sforzo per mantenere aperti tutti i nostri presidi: mense, dormitori, centri d’ascolto. Ovviamente sono cambiate le modalità, adattate all’emergenza. Abbiamo, ad esempio, organizzato le consegne dei pasti a domicilio agli anziani e contingentato gli accessi alle mense. Abbiamo messo a disposizione alcune strutture per medici e infermieri.
Per organizzare le attività c’è bisogno di tanti volontari: avete avuto difficoltà a reperirli?
All’inizio abbiamo registrato una certa difficoltà, perché la paura porta a chiudersi. In molte città i giovani si sono offerti per aiutarci nel nostro lavoro. Un bel segnale che conferma la caratteristica solidale del nostro Paese, ma la storia non si può fare sulle emergenze e sulla buona volontà delle persone. Abbiamo bisogno di politiche diverse.
A che cosa si riferisce?
Alle situazioni delle quali parlavamo prima: la condizione degli ultimi, dei senza fissa dimora, dei richiedenti asilo. Questa emergenza ha evidenziato problemi che noi della Caritas conoscevamo già, ma che oggi si manifestano in maniera drammatica. Tutto ciò non si può risolvere solo con il volontariato, ma va affrontato in maniera coraggiosa con scelte politiche importanti. Penso alla costruzione di case popolari, al rafforzamento delle politiche sociali e sanitarie. Dalle emergenze bisogna ripartire e fare tesoro delle cose che non hanno funzionato. Cristianamente dico: dopo la morte c’è sempre la vita e la speranza.
Questa pandemia ha colpito soprattutto gli anziani e, tra loro, quelli che hanno pochi mezzi economici sono ancora più in difficoltà.
Il coronavirus ha colpito chi è più fragile e le residenze per anziani, purtroppo, si sono trasformate in luoghi di morte. Queste strutture hanno avuto difficoltà a relazionarsi con il sistema sanitario. Non basta ricoverare un anziano, c’è bisogno di un sistema sanitario integrato, come ha evidenziato l’emergenza.
In questo periodo la Caritas sta avendo più contributi?
C’è grande solidarietà sia di privati sia di aziende che vogliono collaborare con noi per far arrivare i loro prodotti a chi ne bisogno. Mi ha molto colpito una persona che abbiamo aiutato, anni fa, a uscire da una situazione difficile. Si è ripreso e ha un’attività che sta andando bene. In questi giorni ci ha contattato e ha detto: è arrivato il momento di restituire ciò che ho avuto.
Questa pandemia ha modificato anche la platea di persone che si rivolge alla Caritas?
Purtroppo sì. I nostri soliti amici li avevamo prima, li abbiamo e li avremo poi. A loro si sono aggiunte molte altre persone che fino a ieri riuscivano ad andare avanti da sole e che sono destinate ad aumentare.
I nuovi amici manifestano disagio nel rivolgersi a voi?
In Italia abbiamo una grande forza che è rappresentata dalla famiglia. Molte persone in difficoltà in questi primi mesi stanno ricevendo aiuti dalle loro famiglie. Il problema ci sarà quando, dopo la drammatica emergenza sanitaria, la crisi economica allargherà ancora di più la fascia di povertà. Una condizione che sarà ancora più complicata nelle periferie.
Vi state organizzando per affrontare tutto questo?
Le nostre strutture sono abituate a fronteggiare situazioni di crisi e oltre agli aiuti materiali molte Caritas diocesane hanno già aperto i centri d’ascolto con numeri dedicati. È il nostro ruolo: accompagnare e stare vicino alle persone.
Per potere fare tutto questo lavoro occorrono dei fondi.
Sì, la Cei ha stanziato solo per la Caritas 10 milioni di euro, ha bloccato la costruzione di nuove chiese per destinare quei soldi alle diocesi. Per primo papa Francesco, tramite il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ci ha donato 100 mila euro. Ed è partito “25 aprile 2020 # iorestolibero”: evento in streaming e raccolta fondi per Croce Rossa e Caritas al quale hanno aderito tantissimi personaggi.
L’emergenza coronavirus sta facendo capire che dobbiamo pensare a modelli economici diversi: a una economia civile e sociale?
Proprio così. C’è bisogno di un cambio di passo. Se riuscissimo ad accogliere la novità che viene da questa tragedia sarà un momento storico non soltanto di dolore, ma anche di rinascita. Le Sacre scritture ci dicono che in passato le menti si sono aperte per comprendere il messaggio di novità di Gesù Cristo. In questo momento tante menti si dovrebbero aprire per comprendere ciò che è accaduto e ciò che sta accadendo.
In un modello economico diverso che ruolo avrà il Terzo settore?
Non dovrà essere marginale perché è uno dei primi mondi che interviene quando c’è un’emergenza. Dovrò avere un giusto ruolo non solo nel fare le cose, ma anche nel progettarle, perché portatore di valori e interessi diversi e dà voce a chi non ha voce.
Lei è ottimista sul futuro?
Credo che il nostro Paese ne verrà fuori cambiando. Dovrà per forza fare delle scelte e se accettiamo di mettere in discussione i nostri stili di vita sarà un momento di crescita. Ed è questa la speranza che mi porto nel cuore.