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«Qualsiasi discorso con la Lega si chiude qui». Luigi Di Maio risponde così a Maurizio Martina che poco prima, uscendo dallo studio del Presidente della Camera, aveva posto come precondizione per qualsiasi confronto col Movimento 5 Stelle la chiusura definitiva del forno con la Lega. I Cinquestelle fanno sul serio, ci sperano nella remota possibilità di un abbraccio col nemico di sempre per dare al Paese un governo di cambiamento. «Abbiamo apprezzato le parole del segretario del Pd Martina, sono parole che vanno in direzione dell’apertura», dice il leader pentastellato dopo aver parlato col collega di partito Roberto Fico. «Abbiamo detto al presidente Fico che manteniamo la linea delle elezioni, di insistenza sui temi per il cambiamento del paese e abbiamo detto che non rinunciamo ai nostri valori e alle nostre battaglie politiche». Di Maio è consapevole delle «profonde differenze» che separano i grillini dai dem, ma «se riusciremo a mettere al centro l’interesse nazionale, sui temi ci siamo e l’abbiamo sempre detto». E i temi di partenza potrebbero essere quelli proposti dal reggente Martina, le «tre sfide essenziali» : europeismo senza se e senza ma, rinuncia alle derive po- puliste, politiche del lavoro e di contrasto alla povertà.
«Chiedo al Pd di venire al tavolo a verificare se ci sono le condizioni per mettere in pratica un piano», continua il capo politico che vorrebbe accelerare i tempi del confronto, saltando i rituali della “vecchia politica”. «Rispetto i tempi decisionali interni, conosco le loro dinamiche, ma è chiaro che dobbiamo vederci». Incontrarsi, rassicura l’aspirante premier, non significa siglare un accordo, vuol dire capire se sussistono le condizioni minime per siglare un accordo. Di Maio sa che nel Pd è in corso un dibattito infuocato tra quanti sostengono lo “scongelamento” del partito, e quanti, i renziani, non vogliono sentir parlare di un governo con i grillini. Ma il capo politico è anche perfettamente consapevole di quanto sia poco popolare, tra la base on line del Movimento, l’idea di formare un esecutivo con il “nemico” «piddiota». Per questo è costretto a specificare che qualsiasi «contratto sarà sottoposto al voto degli iscritti sulla piattaforma Rousseau». Una legittimazione dal basso che non sarebbe servita nel caso in cui fosse proseguito il flirt con Matteo Salvini.
Di Maio vede l’ultima spiaggia all’orizzonte. Se non riuscisse a raggiungerla non ci sarebbero altri lidi cui protendere, se non le elezioni. «Abbiamo 338 parlamentari e con questa forza un partito deve dare un governo del cambiamento del Paese», avverte. «Ovviamente con 338 parlamentari non può esistere opposizione: o si va al governo o si torna al voto». Esclusa ogni ipotesi di governi tecnici, del Presidente o di scopo.
Il capo dei 5 Stelle mette le mani avanti perché sa che le aperture di Martina non corrispondono alla posizione del Pd, dove Matteo Renzi rimane azionista di maggioranza delle truppe parlamentari. Un’eventuale svolta governista dovrà essere sottoposta alla valutazione della direzione nazionale, che presumibilmente verrà convocata il 2 maggio, tra un’eternità, visti i continui cambi di fronte di queste ore, e visto il confine temporale del mandato di Fico ( scade venerdì). «Mi arrivano in queste ore molti messaggi di nostri elettori che chiedono chiarimenti sull’incontro con Fico», scrive su Facebook il presidente dem Matteo Orfini. «Convocherò la direzione il prima possibile. Di Maio in questo momento ci sta chiedendo pubblicamente di fare un accordo sulla base di un confronto programmatico. Per chiarezza, sulla proposta di un accordo per un governo politico Pd- M5s la mia personale posizione resta la stessa di sempre: sono contrario». Come Orfini, tutti i colonnelli renziani alzano la voce per mostrare il loro disappunto rispetto alla “fuga in avanti” di Martina. Su Twitter, l’hashtag “senzadime” diventa virale tra i detrattori di Di Maio. I sostenitori dell’ex segretario credono che sia impossibile ogni mediazione finché i grillini non riabiliteranno Renzi e il suo governo.
«L’ascolto è dovuto, ma partiamo da distanze molto marcate proprio sui temi oltre che sul concetto della democrazia», dice il capo dei senatori Andrea Marcucci, tra i membri della delegazione Pd ricevuta da Fico. «A meno che i Cinque stelle non cambino idea sul jobs act, sugli 80 euro, sulle riforme, i punti di contatto sono pochi e superficiali». Fuori dal coro solo Gianni Cuperlo, Andrea Orlando e Anna Finocchiaro, schierati al fianco del reggente Martina.
Il Quirinale guarda dall’alto la palla rotolare nel campo dei dem. Ma la partita volge al termine e non è detto che il Colle conceda tempi supplementari.