La storia alcune volte si ripete e alcuni eventi contemporanei presentano punti di contatto con quanto accaduto in passato. L’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina e i tentativi di avviare un negoziato per il cessate il fuoco fanno venire in mente quanto successo nel 1938, in occasione della Conferenza di Monaco. Un avvenimento dalla grande portata storica alla quale ha dedicato il suo ultimo libro, (Scacco alla Pace, “Neri Pozza”), Maurizio Serra, ambasciatore e Accademico di Francia. Nel settembre di ottantasette anni fa Gran Bretagna e Francia, con la mediazione di Mussolini, cedettero a Hitler i Sudeti, senza accorgersi di compiere il passo decisivo verso l’abisso della Seconda guerra mondiale.

L’invasione russa dell’Ucraina ha reso di estrema attualità la Conferenza di Monaco anche se occorre fare dei distinguo, senza seguire l’onda dell’emozione e senza dimenticare il contesto storico di allora e di oggi. Di questo è convinto Maurizio Serra. «C'è da sperare – dice al Dubbio - che il multilateralismo, il senso di una saggia e razionale democrazia, possano aiutare ad affrontare la crisi alla quale stiamo assistendo. È l’auspicio, come dico alla fine del mio libro, delle donne e degli uomini di buona volontà».

Come per la Cecoslovacchia nel secolo scorso, anche per l’Ucraina l'unica colpa è quella di esistere?

Vorrei fare una premessa. I raffronti per uno storico sono sempre difficili. Quando ho iniziato a scrivere “Scacco al potere”, più di tre anni fa, non era ancora scoppiata la guerra in Ucraina. Tutti credevano che non ci sarebbe stata nessuna aggressione. I fatti, invece, dimostrano il contrario. La situazione del 1938 ha consentito agli storici di ricostruire una serie di fatti grazie alla consultazione dei documenti. La situazione di oggi è talmente fluida che ogni giorno potremmo dire e commentare una cosa diversa. Nel 1938 la Cecoslovacchia non aveva solo la colpa di esistere, era nata su una base che avrebbe dovuto essere federalista, ma così non fu. Il gruppo dirigente del Paese, essenzialmente ceco, non era riuscito a saldare sufficientemente le due comunità principali, la germanofona dei Sudeti e la slovacca, all'interno di uno Stato federale.

Dopo la caduta del muro di Berlino, Cechia e Slovacchia hanno deciso pacificamente, in modo molto più maturo e meno tragico rispetto all’ex Jugoslavia, di scindersi e oggi appartengono all’Unione Europea. La situazione dell'Ucraina ha molto più a che fare con una sorta di guerra civile. Tra l’Ucraina e la Russia esistono dei vincoli storici, di sangue, di lingue, di culture, di religioni. Il conflitto in corso prende tutta la tragicità e l’orrore delle guerre civili, dove rivendicare un territorio, una chiesa, un monumento diventa matrice di nazionalismi che avremmo voluto lasciarci alle spalle.

La storia spesso viene utilizzata come arma di propaganda e come pretesto per avviare alcune azioni. La Russia, in occasione dell’invasione dell’Ucraina, ha usato il tema della denazificazione. Cosa ne pensa?

I pretesti demagogici, propagandistici, populistici, sovranisti hanno sempre un effetto pernicioso. Nel 1938 Hitler invocò il ritorno dei Sudeti, che non erano mai stati tedeschi, fecero parte dell’Impero austro-ungarico, con una popolazione non interamente germanofona. La stessa cosa è il discorso che ha fatto Putin sulla denazificazione. Ci possono essere state delle responsabilità degli ucraini al momento dell’invasione tedesca del 1941, perché certamente lì, come in altre parti di quella che allora era l’Unione Sovietica, ci fu una parte di dirigenze e di popolazione che collaborò con l’occupante. Ma naturalmente questo è un pretesto. Cosa c’entra questa cosa ottant’anni anni dopo per aggredire un popolo? 

Quali sono stati gli errori più grandi commessi dall'Europa nel 1938?

Sono stati essenzialmente l’arrendevolezza e la divisione. Quest’ultimo elemento, purtroppo, sembra appartenere anche adesso all’Occidente. In merito all’arrendevolezza, né i francesi né gli inglesi, che appartenevano alle due maggiori democrazie europee, erano pronti a fare la guerra per la Cecoslovacchia. La responsabilità degli inglesi, soprattutto nella politica generale della pacificazione nei riguardi della Germania, fu deleteria. La divisione provocò un curioso paradosso della storia. Oggi abbiamo l'impressione, lo dico con la cautela con cui lo storico si deve avvicinare all'attualità, che l’America voglia fare tutto, voglia decidere tutto anche per l’Europa. Nel 1938 il bluff di Hitler, perché non era in grado di fare la guerra in quel momento, provocò un’assenza, per non dire una latitanza, dell’America dal tavolo dei negoziati. Quindi, la situazione è stata esattamente inversa a quella odierna.

Impadronirsi delle materie prime è un “atto di potenza vitale”, se pensiamo agli Stati Uniti che vogliono appropriarsi delle terre rare in Ucraina?

Questo discorso delle terre rare ha suscitato in me più di qualche dubbio in occasioni di diversi dibattiti. Ho trascorso due anni e mezzo come diplomatico nell’ex Unione Sovietica, negli anni Ottanta del secolo scorso. Non ho mai sentito parlare di terre rare. L’industria mineraria sovietica, che era uno dei pochi settori molto avanzati, insieme a quello petrolifero, per mezzo secolo non le ha trovate e al tempo stesso grandi accordi internazionali non hanno consentito di recuperarle per i costi estremamente elevati di esplorazione o di trivellazione. Non si tratta di raccogliere delle pepite d’oro nei campi. Mi chiedo se tutto questo non abbia una componente di pretestuosità. Certamente una presenza americana è rivendicata da Trump come mediatore al tavolo della pace.

Come si arriva al cessate il fuoco in Ucraina? Putin ha nel suo vocabolario la parola pace?

Questo è difficile saperlo. Dopo tante ipotesi, anche io non credevo alla guerra fin quasi alla sua vigilia. Pensavo che un’azione di intimidazione diplomatica sarebbe stata sufficiente per tornare a un accordo fra le parti. Mi sono illuso per eccesso di ottimismo diplomatico. Una cosa è emersa in questo contesto: la dimostrazione di Trump di privilegiare con chiarezza una parte rispetto ad un’altra.

Lo dico in termini diplomatici anche a seguito della sgradevole sceneggiata televisiva dell’incontro di Washington tra Trump e Zelensky, contraria a tutte le regole di creanza, di una diplomazia sana dove la forma è sostanza o quantomeno la forma aiuta il formarsi della sostanza. È chiaro che quanto accaduto ha rafforzato Putin nelle sue richieste. Adesso, invece, sembra che negli Stati Uniti ci sia una generale convinzione che a Putin sia stato dato troppo e troppo presto. Mi pare anche che il linguaggio di Trump sia diventato più sfumato e questo potrebbe consentire un maggiore riequilibrio e realismo nei rapporti con Putin.