Domani potrebbe esserci la tanto attesa svolta sul conflitto in Ucraina. Donald Trump e Vladimir Putin avranno un colloquio telefonico per discutere il piano di tregua proposto dalla Casa Bianca e accettato anche da Zelensky. E sapremo, dicono gli osservatori più disincantati, in quale salsa Usa e Russia cucineranno Kiev.

La sintonia tra Mosca e Washington non lascia presagire un accordo favorevole agli ucraini, costretti a sedersi al tavolo dei negoziati in condizioni di manifesta inferiorità. Parafrasando l’ormai celebre pestaggio dello studio ovale Zelensky non è nella posizione per dettare condizioni e può solo sperare di limitare i danni. Da parte sua Trump esibisce ottimismo: «Abbiamo lavorato molto nel weekend. Vogliamo vedere se possiamo porre fine a questa guerra. Forse ci riusciremo, forse no, ma penso che ci siano ottime possibilità».

A sentire l’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff le trattative sarebbero sulla buona strada anche se non è entrato nei dettagli: «Le differenze sono state ridotte, ora bisogna trovare la strada per limarle ulteriormente». Per arrivare a dama, bisognerà trovare un’intesa con Putin che ha indicato condizioni molto rigide per sottoscrivere un accordo che per il Cremlino deve essere definitivo e mettere la parola fine a qualsiasi ambizione ucraina. Nell’immediato sul piano militare il presidente russo pretende la resa totale dei militari di Kiev presenti nella regione russa del Kursk minacciando un ulteriore massacro.

Putin da settimane sottolinea le grandi difficoltà del nemico con l’armata russa che avanza lungo tutta la linea del fronte. Una tregua di soli trenta giorni, in questo momento, permetterebbe alle truppe di Kiev di riorganizzarsi. Se è escluso qualsiasi progetto di adesione dell’Ucraina alla Natom, per Mosca la firma di un accordo deve portare alla «rimozione delle cause che hanno generato la crisi», che detta in altri termini significa il mantenimento delle regioni ucraine conquistate da Mosca in questi tre anni di guerra. L’integrità territoriale dell’Ucraina non verrebbe dunque preservata.

Proprio sulla cessione dei territori, che è il punto più dolente per Kiev, sembra esserci una netta convergenza tra la linea americana e quella del Cremlino. Mike Waltz, consigliere di Trump per la sicurezza nazionale, alla Abc parla senza problemi di «territori in cambio di future garanzie di sicurezza» l'Ucraina dovrebbe accettare di modificare i suoi confini per tutelare quel che resterebbe della propria sovranità e sicurezza.

Tra le regioni destinate a finire sotto la sfera d’influenza russa ci sono il Donbass e la Crimea, nei piani di Washington già date per perse. Su questo Trump è stato molto chiaro: «Dobbiamo chiederci cosa sia realistico. È da ogni centimetro possibile mandare via ogni russo dal territorio ucraino, compresa la Crimea? Accanirsi su questo punto è pericoloso e può provocare la Terza Guerra Mondiale. Possiamo parlare di cosa sia giusto o sbagliato. Ma dobbiamo parlare anche della realtà sul terreno e lo faremo attraverso la diplomazia».

Insomma, The Donald ha fretta di concludere, di intestarsi il merito di aver ottenuto la pace (poco importa se onorevole o ingiusta per gli ucraini) e soprattutto di pianificare lo sfruttamento delle risorse naturali dell’Ucraina. «Parleremo di terre. Parleremo di centrali elettriche. Penso che ne abbiamo già discusso molto da entrambe le parti, Ucraina e Russia. Ne stiamo già parlando, dividendo alcuni beni».

Sostenuti da The Donald i russi sperano dunque di ottenere l’intera posta e mostrano grande irritazione verso i paesi dell’Unione che continuano a sostenere senza compromessi la causa di Kiev predicando il riarmo per proteggere le frontiere orientali dell’Ue da eventuali attacchi di Mosca. Ma stando a Putin si tratta soltanto di un pretesto che nasconde intenti bellicosi: «Creano una minaccia artificiale per giustificare la loro linea di militarizzazione».

E intanto si amplia il cosiddetto “fronte dei volenterosi”, ovvero tutti quei Paesi che supportano attivamente la resistenza ucraina all’invasione russa. Come ha riferito il premier britannico, Keir Starmer «sono almeno trenta» le nazioni impegnate, puntualizzando che la coalizione «non si limiterà all’invio di truppe, ma implicherà anche altri modi di contribuire alla risoluzione della crisi». Il portavoce ha aggiunto che i vertici militari della coalizione si incontreranno giovedì per discutere la prossima «fase operativa» per proteggere l’Ucraina come parte di una forza di mantenimento della pace da schierare nell’ipotesi che si raggiunga un accordo di tregua con la Russia.