Una strategia per «dare concretezza alla soggettività politica conquistata dall’Ucpi, che parta dalle idee e le porti in Parlamento»: è l’architrave del programma esposto dal candidato alla presidenza dell’Unione Camere penali al congresso di Sorrento
PHOTO Gian Domenico Caiazza, canbdidato alla presidenza dell'Ucpi (foto Giorgio Varano)
(foto Giorgio Varano) Soli? Sì. Gli avvocati sono un po’ soli. Lo sa, Gian Domenico Caiazza. Candidato alla presidenza dell’Unione Camere penali che si definisce «in continuità» con la giunta Migliucci. Soli, è vero. Eppure, chiarisce, «abbiamo avuto una crescita straordinaria. Grazie alla raccolta firme sulla separazione delle carriere e al coinvolgimento delle Camere penali nella nostra politica nazionale». E quindi quella “solitudine” è in realtà un sintomo di forza, spiega ancora l’avvocato: «Perché oggi noi siamo l’unico interlocutore credibile nella affermazione dei diritti, nella difesa dello Stato di diritto». Tocca ora trovare il «come», ossia gli «strumenti per far correre le nostre idee, per contrapporci a una situazione terribile».
Il ruolo politico
Si potrebbero spendere fiumi di parole per spiegare cosa implichi una visione come quella di Caiazza. Dietro c’è in effetti la trasformazione dell’avvocatura in soggetto politico, la traduzione del ceto medio piegato dalla crisi e dall’imbarbarimento della dialettica pubblica in corpo sociale capace di iniziativa diretta e di supplenza di fronte all’inerzia dei partiti. Sembra si debba partire da qui. Che poi, nel discorso di Caiazza, si scorge la stessa idea che il presidente del Cnf Andrea Mascherin promuove dall’inizio del suo mandato. Il candidato a guidare l’Ucpi lo declina dal punto di vista e con gli strumenti dell’avvocatura penalista, dell’associazione che li riunisce. Ma quel ceto medio che si rialza dalle botte, rimedia alla desertificazione dei partiti e fa esso stesso politica, con l’avvocatura in posizione d’avanguardia, quella visione è la stessa. E ci si dovrebbe appunto soffermare troppo, fino ad allontanarsi dal congresso dell’Unione Camere penali in corso a Sorrento.
I soli a poter assumere l'iniziativa
E allora vale la pena di seguire Caiazza. Che disegna una traiettoria astuta e razionale. Di “supplenza energetica” rispetto alle forze politiche piallate dal populismo, eppure non isolazionista. Quel «siamo soli» del candidato a cui tocca in sorte di esporre per primo il suo programma, nella seconda giornata delle assise Ucpi, quel «siamo soli» in realtà è più correttamente riferibile in «siamo i soli». I «soli» a «poter prendere l’iniziativa». Ma il punto è «come», ribadisce Caiazza. Che propone il seguente piano d’azione: «Prima di tutto dobbiamo partire dalla raccolta firme della separazione delle carriere. Non basta sventolare le nostre bandiere: il mio programma e quello di Renato Borzone sono persino sovrapponibili quanto a individuazione delle priorità, dei temi per i quali batterci. Quello che ci differenzia è che», appunto, «io sono convinto serva darsi degli strumenti concreti per rendere carne», cioè concreta, «la nostra idea liberale di giustizia». E quindi, «se non avessimo raccolto le firme sulla separazione delle carriere, oggi non ci sarebbe una legge costituzionale di iniziativa popolare depositata in Parlamento e destinata ad essere comunque discussa».
Un manifesto della giustizia penale liberale
Non solo, perché la separazione della carriere è stata, dice Caiazza, «anche un’occasione per rafforzare la nostra identità, per acquisire la consapevolezza della nostra soggettività politica». Ma si tratta di una seconda premessa. Il capitolo decisivo del programma di Caiazza traduce quell’esperienza in una successiva ulteriore possibilità: «Dobbiamo individuare e favorire l’aggregazione di un intergruppo composto dai parlamentari favorevoli alla nostra proposta di legge. Un intergruppo che quindi diventerà punto di riferimento anche per nostre successive proposte e iniziative». Nella sua esposizione, peraltro, Caiazza arriva a tale ipotesi subito dopo aver fissato un precedente step, quello della «stesura di un manifesto per una giustizia penale liberale». Uno strumento politico pienamente inteso, da definire attraverso la parte più selezionata dell’accademia, «finalmente uscita dalla propria timida imparzialità, almeno in alcuni suoi settori». Poi il manifesto andrà «esposto e proposto nelle università, per adesioni ancora di carattere intellettuale, a cui seguiranno quelle da cercare, trovare e far crescere tra i parlamentari, nella politica».
Valorizzare lo smarrimento della magistratura
È lo schema con cui Caiazza vuole tradurre in concreto la soggettività politica conquistata dall’Unione. Che ovviamente non può presentarsi alle elezioni, ma può essere il motore di un’aggregazione prima culturale e poi parlamentare. Non impossibile, certo. Caiazza pensa di «coinvolgere anche quella magistratura ora a rischio di essere travolta dal populismo, da essa favorito attraverso l’assoggettamento che parte della magistratura stessa ha imposto per 25 anni alla politica». Bisogna «valorizzarne lo smarrimento», dice. Propositi pieni di speranza, di consapevolezza dell’immane difficoltà davanti a cui ci si trova. Con un populismo «prima praticato in qualche iniziativa di legge ma formalmente ripudiato, e adesso invece divenuto esplicita rivendicazione». Ma un tassello sull’altro, Caiazza è convinto che un’armata in grado di schierarsi contro il nemico sia possibile. E che la chiamata possa, anzi debba partire dell’avvocatura.