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Il ddl sull’avvocato in Costituzione consentirebbe di «riconoscere e consacrare il rilievo sociale, prima ancora che giuridico» della classe forense. Sono le parole con cui il ministro Bonafede ha espresso, pur nel «rispetto delle prerogative del Parlamento», il suo invito ad approvare la riforma che sancisce l’imprescindibilità e l’indipendenza del difensore. Lo ha fatto nel presentare in Parlamento la sua Relazione sulla amministrazione della giustizia. Nel documento del guardasigilli, il ruolo dell’avvocatura torna in diversi altri passaggi: dalla necessità di «rafforzare l’equo compenso per tutelare la dignità del professionista» al coinvolgimento delle rappresentanze forensi nei «tavoli tecnici sulle riforme», compreso quello sul «penale che si riunirà di nuovo a breve». Una «attenzione» condivisa alla Camera, anche dal capogruppo M5S Devis Dori.
È la loro duplice sembianza: attenti al ruolo sociale dell’avvocato, al suo carattere «essenziale per il sistema giustizia», eppure distanti dall’avvocatura su snodi decisivi come la riforma della prescrizione. Alfonso Bonafede e i 5 Stelle rivelano in Parlamento, ancora una volta, la loro controversa visione del processo e della giustizia. Prima ancora di diventare teatro dell’ennesima sterzata sul penale, in mattinata l’aula di Montecitorio si concede un’anteprima non da poco, con la Relazione che il guardasigilli tiene sull’amministrazione della Giustizia. Intervento replicato nel pomeriggio a Palazzo Madama, seguito da un doppio dibattito spigoloso con l’opposizione. Se ne colgono tutti i tormenti della maggioranza sul dossier del processo penale. Ma si tratta appunto anche di una prova neppure tanto sorprendente ( non è la prima della serie), della ricerca di una sintonia con l’avvocatura, da parte del ministro e in generale dal suo partito, viste le parole pronunciate, in sede di dibattito alla Camera, dal capogruppo in commissione Giustizia Devis Dori. Su tutto, colpisce l’insistere rispettoso ( delle prerogative del Parlamento) e allo stesso tempo accorato di Bonafede sulla riforma costituzionale che sancirebbe «il ruolo sociale, prima ancora che giuridico, dell’avvocato». Una specifica notazione, sul ddl «incardinato al Senato», che segnala una consapevolezza, da parte del guardasigilli: quella relativa alla funzione che la classe forense assume non solo dal punto di vista tecnico nel processo, ma anche quale attore centrale dell’intero sistema democratico quale garante dei diritti.
Alla fine del confronto mattutino, alla Camera, la relazione di Bonafede viene “approvata” con una mozione di maggioranza ( 300 voti a favore, 200 contrari) e, sopratutto, anche con l’appoggio di Italia viva, che pure con la legge Costa, poche ore dopo, confermerà la “svolta distensiva” sulla prescrizione. A dare l’imprimatur sull’intervento del guardasigilli è, per i renziani, la deputata e avvocata Lucia Annibali, che non manca di chiarire la «contrarietà» del suo gruppo sulla riforma della prescrizione. Ma proprio Bonafede è il meno incline a tornare, nella relazione, sulla norma che divide l’alleanza di governo. Ne fa cenno con una quasi esibita trascuratezza solo quando parla della legge “spazza corrotti” che, nota, ha anche «introdotto un nuovo regime di prescrizione in vigore dal 1° gennaio». Il ministro preferisce appunto parlare del sistema in termini di servizio. E non a caso parte dalla «alta professionalità degli operatori» di quel sistema, «magistrati, avvocati e personale amministrativo, che negli anni hanno tenuto in piede praticamente da soli la giurisdizione, e ai quali però è ora doveroso assicurare un’infrastruttura all’altezza». Si inoltra dunque nell’accidentato sentiero delle statistiche che, almeno «sul processo civile» fanno registrare «una costante diminuzione delle sopravvenienze, calate dell’ 1,7 per cento anche nel 2019 e del 36% in 10 anni». Ricorda «i 9 milioni di risorse finanziarie assicurate alla Giustizia dall’ultima legge di Bilancio». E poi, con il punto della situazione sulle «riforme del processo» riprende a parlare dell’avvocatura. Intanto assicura «la riapertura del tavolo sul penale con gli operatori del diritto» cioè avvocati e magistrati, «non appena si sarà chiuso il confronto nella maggioranza». C’è dunque da supporre che la nuova convocazione a via Arenula arrivi prima che il ddl vada in Consiglio dei ministri. Poi Bonafede segnala come «nella prima parte del 2019» quella «interlocuzione» abbia visto la presenza a via Arenula, con l’Anm, di «Consiglio nazionale forense, Ocf, Aiga e Unione nazionale Camere civili». Nel caso del tavolo sul processo penale, precisa, «alla discussione ha presso parte l’Ucpi». Ed è proprio all’Unione dei penalisti che pare riferirsi quando, in fase di replica, ricorda che «i soggetti della giurisdizione gli hanno sempre riconosciuto capacità di ascolto, persino quelli con i quali le divergenze sono più chiare».
Cita le intercettazioni e nota che «per la prima volta si arriva a conciliare le esigenze investigative con quelle della riservatezza» ma anche «della difesa». Sugli affidi chiama in causa la «squadra speciale costituita al ministero», di cui fa parte anche il Cnf. Finché non si arriva alla necessità di «rafforzare la disciplina sull’equo compenso», non solo per la sua rilevanza economica ma prima ancora per la «dignità» che va assicurata ai professionisti, e in particolare a quelli del Foro, da cui parte sempre il discorso. E poi il passaggio sull’avvocato in Costituzione, riforma che consentirebbe di «riconoscere e consacrare la fondamentale funzione» del difensore. Un punto sul quale torna, durante il dibattito, anche il 5 stelle Devis Dori: «Recepiamo l’invito del ministro a lavorare sul ddl costituzionale relativo all’avvocato», dice, per poi soffermarsi a propria volta sul valore della riforma. Dori dichiara subito di «aver apprezzato l’attenzione rivolta all’avvocatura, componente essenziale per il buon funzionamento del sistema giustizia». Si sofferma a sua volta sul tavolo ministeriale per l’equo compenso, aperto a «tutte le componenti, a cominciare dal Cnf». E soprattutto chiarisce l’opportunità di blindare la legge con la necessità di «stabilire un limite invalicabile per i compensi, a garanzia dell’indipendenza del professionista». Ricorda il ddl sul patrocinio a spese dello Stato «elaborato in base alle indicazioni della classe forense», il «decreto ministeriale sulle specializzazioni inviato alla Camera» e le modifiche sull’accesso alla professione «in via di definizione al tavolo ministeriale». Un’attenzione sistematica, del ministro e del suo Movimento. Che è l’altra faccia di una medaglia screziata dall’abissale distanza sulla prescrizione.