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Ha gli occhi sgranati di chi non crede a ciò che sta succedendo e parla in modo concitato, mentre viene portato fuori dall’ambasciata dell’Equador a Londra da sette poliziotti in borghese. Julian Assange, capelli lunghi legati a coda e barba bianca, è trascinato quasi di peso per le braccia e le gambe, poi caricato su un furgoncino e portato via. Finisce così - con l’esecuzione di un mandato d’arresto britannico del 2012 per violazione delle regole della cauzione - l’asilo politico del fondatore di Wikileaks. La notizia si rincorreva da alcuni giorni, da quando il ministro degli Esteri dell’Equador, Josè Valencia, aveva fatto sapere che il governo stava riesaminando la richiesta di asilo del giornalista e così è avvenuto. L’Equador gli ha revocato l’asilo, per questo l’ambasciata di Quito a Londra ha chiesto l’intervento delle forze dell’ordine britanniche e lo ha espulso dall’edificio dove risiedeva come ospite dal 2012, per evitare l’estradizione in Svezia per un caso di violenza sessuale ( dopo che la sua accusatrice aveva richiesto la riapertura dell’inchiesta). «la trasgressione delle convenzioni internazionali, hanno portato la situazione in un punto in cui l’asilo è insostenibile e impraticabile», è stato il commento di Valencia. Nelle ore concitate dopo l’arresto, due sarebbero le notizie ufficiali. Una, proveniente dall’Equador, secondo cui Assange avrebbe violato più volte le regole dell’asilo e delle convenzioni internazionali, per questo il paese sudamericano «ha agito nell’ambito dei suoi diritti sovrani», ha affermato il presidente ecuadoregno Lenin Moreno, sostenendo anche di aver ricevuto garanzie dal Regno Unito che Assange non verrà estradato in un paese dove rischia la pena di morte. La seconda, invece, arriva da Washington, confermata da Scotland Yard: ad Assange è stato notificato «un ulteriore mandato d’arresto a nome della autorità Usa alle 10.53, dopo il suo arrivo alla sede centrale della polizia di Londra», e si tratta di «una richiesta di estradizione sulla base della sezione 73 dell’Extradition Act». Dopo l’arresto, Assange è stato portato in commissariato «dove resterà, prima di essere portato di fronte alla corte di Westminster», hanno fatto sapere le autorità locali. Il suo avvocato, Barry Pollack, ha confermato che l’arresto è avvenuto «in relazione di una richiesta di estradizione degli Stati Uniti», sottintendendo dunque che la vera ragione della misura cautelare non sia l’esecuzione del vecchio mandato di arresto ma l’intenzione degli Stati Uniti di processarlo per spionaggio e diffusione di segreti di Stato per lo scandalo Wikileaks (con cui diffuse centinaia di documenti segreti del Pentagono, inviatigli dall’ex analista Chelsea Manning), per cui rischia 5 anni di carcere. «I giornalisti di tutto il mondo dovrebbero essere molto preoccupati», ha aggiunto, affermando che il suo cliente non ha fatto altro che rendere pubbliche informazioni: «Se l’atto di accusa reso pubblico parla di partecipazione ad un complotto per commettere reati informatici, le vere accuse però si riferiscono all’azione tesa ad incoraggiare una fonte a fornirgli informazioni e a sforzarsi di proteggere l’identità di una fonte». Immediate reazioni sono arrivate in particolare dalla Russia, con la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, che ha definito l’arresto «La mano della democrazia che strangola la gola della libertà». Su Twitter è arrivato anche il commento del whistleblower americano Edward Snowden, che ha parlato di «momento buio per la libertà di stampa». Anche il Movimento 5 Stelle si è espresso contro l’iniziativa britannica e il sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia, si è attivato per verificare la possibilità (per ora improbabile) di concedere ad Assange l’estradizione in Italia.