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Immediate sono arrivate le reazioni dei vertici del giornalismo e dell’avvocatura sarde. «La pubblicazione di un esposto presentato da un privato cittadino alla magistratura, un documento che tecnicamente non può essere considerato coperto da segreto istruttorio, oggi ha dato occasione per una inaudita intrusione delle forze dell’ordine e della magistratura nella redazione olbiese della Nuova Sardegna», hanno scritto Federazione nazionale della stampa italiana, l’Associazione della stampa sarda, il Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti, l’Ordine dei giornalisti della Sardegna e l’Unione cronisti sardi. «Si tratta di un atto intimidatorio e gravissimo, senza precedenti rivolto a una collega che ha correttamente esercitato il suo diritto- dovere di informazione con professionalità e serietà» e «Noi la difendiamo e continueremo a difenderla. Non si bloccano i giornalisti con una misura repressiva, soprattutto per un caso come questo», hanno aggiunto i colleghi de La Nuova Sardegna.
Sulla vicenda sono intervenute duramente anche le Camere penali della Sardegna: «Si tratta di un fatto senza precedenti, nonostante la pubblicazione di notizie riguardanti l’esistenza di indagini in corso sia pressochè quotidiana. Si è, però, sempre trattato di indagini concernenti “cittadini comuni” e non magistrati. Forse, in questo, lo si dice con sdegno e grande preoccupazione sta la differenza rispetto agli altri casi e la conseguente decisione di cercare la fonte della notizia con metodi intimidatori. Il sequestro degli strumenti di lavoro in uso esclusivo alla giornalista costituisce, infatti, un atto di inaccettabile intrusività ed una grave violazione delle disposizioni poste a tutela delle fonti e della libertà di espressione del giornalista». Inoltre, i penalisti hanno sottolineato come «consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di perquisizione e sequestro nei confronti del giornalista, impone il rispetto dei limiti di indispensabilità della rivelazione della fonte informativa ai fini della prova del reato per cui si procede, la impossibilità di accertare altrimenti la veridicità della notizia in possesso del perquisito e, soprattutto, la proporzione fra il contenuto del provvedimento di sequestro probatorio emesso dall’Autorità giudiziaria e le esigenze di accertamento dei fatti». Nella sostanza, denunciano gli avvocati, non viene garantito il diritto del giornalista alla riservatezza delle proprie fonti.
Sull’isola è in corso un doppio braccio di ferro, dunque: uno, fino a poche settimane fa rimasto sommerso, all’interno della procura di Tempio e uno ora divenuto pubblico tra i vertici della stessa procura e la giornalista che ha scoperchiato pubblicamente il vaso di Pandora. E, per ora, a farne le spese è stata la giornalista.