PHOTO
Si chiama "Joint Way Forward", si tratta dell’accordo siglato il 2 ottobre dello scorso anno tra i paesi dell’Unione europea e l’Afghanistan. L’intesa prevedeva che i cittadini afgani, rifugiati in Europa, che non avessero base legale per restare in uno stato membro dell’Unione, sarebbero stati rimpatriati nel loro paese d’origine attraverso procedure di “ritorno volontario” o con “rimpatri forzati” anche di massa. Fin da subito venne messo in luce da più parti, ad esempio dal Consiglio internazionale per i rifugiati (Cir), come si trattasse di un pericoloso precedente che avrebbe avuto conseguenze devastanti per coloro che erano scappati dall’Afghanistan ed avevano cercato rifugio nel vecchio continente.Le previsioni più fosche si sono puntualmente verificate ed hanno trovato conferma in un rapporto, presentato ieri, di Amnesty International. L’organizzazione accusa infatti i paesi europei di mettere letteralmente in pericolo la vita dei rifugiati attraverso questa politica dei rimpatri. Una pratica nettamente aumentata negli ultimi tempi, proprio mentre nell’ex “regno” dei Talebani si registra una recrudescenza notevole di torture, rapimenti e altre violazioni dei diritti umani. Per Amnesty il ritorno forzato nei paesi d’origine si configura come una palese rottura con il diritto internazionale. Già al momento della stipula dell’accordo il Cir aveva chiaramente dimostrato che si stava scavalcando la dottrina tradizionale che prevede i rimpatri solo in condizioni di “sicurezza e dignità”. Un altro rapporto del 2016 dell’Easo aveva scandagliato la situazione afgana nel dettaglio definendola “critica”. Inoltre documenti non pubblicati nel maggio 2016 denotavano un progressivo deteriorarsi delle condizioni di vita per la popolazione a causa delle crescenti violenze.Chi sono i rifugiati afgani rimpatriati forzatamente? In maggioranza si tratta di persone che avevano trovato riparo in Germania, Norvegia, Olanda e Svezia, una volta toccato il suolo natio sono stati uccisi, feriti, oppure vivono sotto costante minaccia. La loro unica colpa è quella di avere un orientamento sessuale non accettato, di essersi convertiti al Cristianesimo o di appartenere a minoranze etniche perseguitate. Anna Shea, ricercatrice di Amnesty International sui diritti dei migranti e dei rifugiati, ha dichiarato che: «determinati ad aumentare il numero dei rimpatri, i governi europei stanno attuando una politica tanto sconsiderata quanto illegale. Cinicamente ciechi di fronte al livello record di violenza e all'evidenza che nessun luogo dell'Afghanistan è sicuro, mettono le persone in pericolo di subire rapimenti, torture, uccisioni e altri orrori». Amnesty ha raccolto le storie di molti rifugiati costretti a tornare e le ha rese pubbliche mantenendo però, in molti casi, l’anonimato degli intervistati per paura che potessero subire ritorsioni. Caso gravissimo è quello che vede protagonisti minori non accompagnati e minorenni diventati adulti quando sono arrivati nel continente europeo. Alcune persone inoltre sono state rimpatriate in zone dell’Afghanistan che non avevano mai visto, sottoponendole a rischi ancora maggiori «Questi rimpatri violano in modo clamoroso il diritto internazionale e devono essere fermati immediatamente. Gli stessi stati europei che una volta si erano impegnati per migliorare il futuro degli afgani ora stanno demolendo le loro speranze abbandonandoli in un paese che da quando sono fuggiti è diventato ancora più pericoloso», ha aggiunto Anna Shea. Ma l’auspicio della ricercatrice di Amnesty è smentito dagli stessi dati dell’Unione europea. Tra il 2015 e il 2016 gli afgani rimpatriati dagli stati membri sono passati da 3290 a 9460. Contemporaneamente è calato sensibilmente il numero delle domande di asilo accolte; due anni fa erano il 68 per cento, nel 2016 solo il 33 per cento. Il dato assume ancora più valore se messo in relazione con i numeri della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama). Lo scorso anno in Afghanistan sono state uccise o ferite 11.418 persone, attacchi ai civili in maggioranza compiuti dai Talebani o Stato islamico. Solo nei primi sei mesi del 2017 le vittime civili documentate sono state 5423.Esattamente un anno fa si è chiusa la Conferenza internazionale sull’Afghanistan. Il risultato fu la messa a punto di un pacchetto di aiuti da 16 miliardi di euro. I rimpatri sono con tutta probabilità il prezzo che le autorità di Kabul devono pagare per non perdere questi finanziamenti. Il ministro delle Finanze afgano Ekil Hakimi ha dichiarato al Parlamento che: «se l'Afghanistan non collabora con gli stati membri dell'Unione europea nella crisi dei rifugiati, questo avrà un impatto negativo sull'ammontare degli aiuti destinati al nostro paese».Tutto ciò nonostante alcuni documenti, che dovevano rimanere riservati ma successivamente resi pubblici, mettessero in luce come gli organismi dell’Unione europea avessero ammesso "il peggioramento della sicurezza e le minacce cui vanno incontro le persone", e "i livelli record di attacchi terroristici e di vittime civili". Una real politik spietata che potrebbe far tornare il Afghanistan oltre 80.000 persone nel breve periodo.