PHOTO
Oggi è un giorno importante per l'Algeria. Dopo la fine dell'era Bouteflika, che ha governato il paese 20 anni per poi uscire di scena in maniera traumatica nella scorsa primavera, i cittadini tornano alle urne per le elezioni presidenziali.
Si tratta di una consultazione che non riguarda solo i centri cittadini ma anche l'immenso territorio desertico dove vivono le popolazioni nomadi le quali hanno cominciato le operazioni di voto già sabato della settimana passata.
Il silenzio elettorale stabilito per legge però non può nascondere una situazione politico sociale ancora in piena instabilità, non si placano infatti le continue manifestazioni che percorrono quasi quotidianamente la capitale Algeri.
Grandi folle chiedono proprio la cancellazione delle elezioni presidenziali che viene considerata poco più che una farsa.
Il movimento che si oppose alla ricandidatura di Bouteflika chiede la estromissione completa del blocco di potere che sosteneva l'ex padre padrone del paese e il ritiro dell'esercito dalle istituzioni. La testimonianza di tutto questo è rappresentata dalla biografia dei candidati in lizza, in assoluta continuità con la storia e gli interessi dell’ex regime.
Su cinque sfidanti infatti ben quattro sono stati ministri del vecchio esecutivo.
A partire dal 75enne Alì Benflis, ex guida del governo, sconfitto per due volte da Bouteflika che in ogni caso aveva percentuali di voti enormi. Nelle urne gli algerini troveranno anche il nome di Abdelmadjid Tebboune ( già prefetto, ex ministro diverse volte e addirittura premier nel 2017). Partecipa alle elezioni l’ex deputato Abdelaziz Belaid, leader del Fronte El Moustakbel. Una new entry, si fa per dire, è invece Azzedine Mihoubi, ex ministro della Cultura e segretario generale ad interim del Raggruppamento nazionale democratico ( Rnd), da sempre vicino a Bouteflika.
L'unica eccezione è rappresentata da Abdelkader Bengrina, a capo di una formazione islamista, il Movimento della società per la Pace ( Msp), ma anche lui ha ricoperto incarichi ufficiali con Bouteflika di cui fu ministro del Turismo.
In questo contesto c'è da registrare che i vari partiti d'ispirazione religiosa hanno boicottato ampiamente le consultazioni.
Non bisogna stupirsi dunque se la campagna elettorale, durata 22 giorni, è stata caratterizzata da un grande disiterezze. L'orientamento generale è quello della protesta. Ancora il 6 dicembre la mobilitazione popolare non ha mancato di far sentire la sua voce per il 42esimo venerdì consecutivo. L'indicazione è stata chiara ed espressa attraverso gli slogan risuonati nei cortei: “Nessun voto, Uno Stato civile non militare, Non voteremo, non ci fermeremo”.