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L'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Giuliano Amato - che Silvio Berlusconi nel 2015 avrebbe preferito a Sergio Mattarella sul colle più alto di Roma per la successione a Giorgio Napolitano, che lo lasciava dopo nove anni interrompendo chissà se più per stanchezza o delusione il suo secondo mandato al vertice dello Stato - è caduto nel solito, e ingiusto, sarcasmo di critici e avversari per avere celebrato a suo modo il 29 giugno scorso i 98 anni compiuti dallo stesso Napolitano. Dei quali ben settanta trascorsi fra il Parlamento nazionale, quello europeo e il Quirinale: davvero il veterano delle istituzioni.
Amico personale ed estimatore politico di Napolitano da sempre, anche quando il suo capo di allora, Bettino Craxi, se ne lamentava aspettandosi da lui alle Botteghe Oscure aperture ai socialisti ancora più evidenti e incalzanti sul gruppo dirigente del Pci, Amato ha ringraziato l’ex presidente anche per il silenzio che si è imposto in questi ultimi anni. Esso - ha scritto Amato su Repubblica - «è il massimo di benevolenza che la nostra indomita incultura può aspettarsi da lui».
L’ex presidente socialista del Consiglio e poi anche della Corte Costituzionale ha inteso per “incultura” quella dimostrata dalla sinistra lasciando cadere praticamente nel vuoto le sollecitazioni rivolte da Napolitano nel suo doppio mandato al Quirinale per riformare le istituzioni, i rapporti fra la politica e la giustizia e sanare le ferite infertesi da sola nella demolizione della cosiddetta prima Repubblica con la falsa rivoluzione delle cosiddette “mani pulite” di una trentina d’anni fa.
Ciò che si aspettava, anzi reclamava dalla “sua” sinistra riformista Napolitano lo disse esplicitamene - la seconda volta addirittura sferzando un Parlamento che pure lo applaudiva - nei due messaggi di giuramento, in occasione della prima elezione e della conferma. E nella lunga, dettagliata, accorata lettera non privata ma pubblica, scritta ad Anna Craxi e diffusa per intero dal Quirinale il 18 gennaio 2010, nel decimo anniversario della morte del marito “rifugiatosi”, non scappando e rimanendovi da latitante in Tunisia, come ancora scrivono e dicono i detrattori del leader socialista.
Fu in quella lettera - secondo me fra gli atti più significativi di Napolitano al Quirinale, se non il più significativo solo dopo il ricorso alla Corte Costituzionale per essere finito intercettato dalla Procura di Palermo nell’ambito della vicenda processuale della “trattativa” fra pezzi dello Stato e la mafia stragista dei primi anni 90 - il Presidente lamentò letteralmente “il brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia” avvenuto con la gestione giudiziaria, politica e mediatica delle inchieste sul finanziamento illegale dei partiti e delle loro correnti. Di cui l’allora capo dello Stato scrisse come “fenomeni degenerativi ammessi e denunciati in termini generali” alla Camera dallo stesso Craxi. Sul quale però “il peso della responsabilità era caduto con durezza senza uguali”: formula, questa, che fa venire ancora i brividi, a leggerla, contro la demonizzazione di un uomo protagonista di “almeno un quindicennio di vita pubblica italiana” e meritevole di “ricostruzioni non sommarie e unilaterali”.
Napolitano si procurò per quella lettera, centrata più sulle “luci” che sulle “ombre” del craxismo e ricca di riconoscimenti per l’azione di partito e di governo dello scomparso leader socialista, il disprezzo dei manettari alla Travaglio e il silenzio imbarazzante e imbarazzato del Pd nato l’anno prima dalla fusione - o dall’” amalgama mal riuscito” di memoria dalemiana - fra i resti del Pci, della sinistra democristiana e cespugli persino liberali, almeno di nome.
Di quel silenzio - ripeto imbarazzato e imbarazzante si alimentò anche l’antipolitica cresciuta all’ombra dei processi di Tangentopoli, cavalcata infine nelle piazze e nelle urne dai grillini e sfociata, come un boomerang, nell’attuale crisi degli stessi grillini e di ciò che rimane della sinistra. La quale avrebbe avuto ben altra sorte se non avesse affidato il suo destino ai magistrati anziché alla correttezza di una pur aspra lotta politica e agli elettori, non a caso astenutisi via via sempre più numerosi ad ogni livello di ricorso al voto.
È un bel disastro, questo della sinistra ora contesa fra Elly Schlein e Giuseppe Conte, che fa comprendere meglio il lungo, perdurante silenzio di Napolitano, Di cui Amato ha compreso il valore e ringraziato il Presidente emerito. Pazienza per il sarcasmo che egli si è procurato fra i praticanti di quella che lui stesso ha chiamato - ripeto “indomita incultura”, sino a sentirsene in qualche modo persino partecipe.