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Anna Politkovskaja
Nella prefazione della raccolta di scritti di Anna Politkovskaja intitolata «Proibito parlare» Adriano Sofri ricordava come la giornalista, alla vigilia del suo assassinio il 5 ottobre 2006, nel corso di quella che è divenuta l’ultima conversazione pubblica con Radio Svodoba aveva detto: «Adesso, sul mio tavolo, ci sono due fotografie. Sto conducendo un’inchiesta. Riguarda le torture perpetrate nelle prigioni segrete di Kadyrov oggi e nel passato. Persone che sono state sequestrate dagli uomini di Kadyrov senza alcuna giustificazione. Ho un solo sogno personale nel giorno del compleanno di Kadyrov. Sogno che sieda sul banco degli imputati».
Quello è uno dei sogni, ancora, o meglio, per ora non realizzatosi, che la giornalista russa ha coltivato nel corso di una vita dedicata a scrivere di ciò che vedeva, facendolo sino alla fine; malgrado ciò che vedeva - il consolidarsi del regime di Putin, la presa sul Paese e la complicità del mondo occidentale, gli assassinii arbitrari, i rapimenti e le violenze sistematiche nei confronti del popolo ceceno venduto al mondo come un pezzo organico del terrorismo globale da combattere - dovesse portarla a disperare di poterlo vedere realizzato e a disperare della possibilità che prima o poi i suoi concittadini e il mondo occidentale cominciassero a vedere cosa accadeva, come faceva lei.
Ma lei ha continuato a scrivere di ciò che vedeva con la consapevolezza e la forza che le dava il fatto di scrivere per il futuro e di prendere appunti da consegnare a quanti sarebbero venuti dopo di lei o che le sarebbero sopravvissuti.
Anche pensando a quel sogno, tenendo da conto ancora oggi gli appunti che Anna Politkovskaja ha voluto condividere con chi la stava ascoltando il 5 ottobre di più di 16 anni fa, Radicali Italiani, al termine del suo Congresso annuale che si è tenuto lo scorso fine settimana a Rimini, ha confermato la necessità di una mobilitazione dei cittadini per l’incriminazione di Putin davanti alla Corte Penale Inter-nazionale e dunque di un rilancio della campagna “Putin all’Aja”. Questo perché, a un mondo nel quale non prevalga l’odio che i prepotenti cercano di imporre spaventando gli altri - quell’odio che Anna Politkovskaja lucidamente, anche rispetto a oggi, diceva di temere mentre il mondo, anche allora, temeva una proliferazione nucleare incontrollata - si arriva nel momento in cui chi commette gravi violazioni del diritto, e quindi crimini contro le persone, viene prima di tutto fermato e disarmato, e poi messo sotto processo perché venga giudicato per la violenza che ha imposto.
Un altro che sogna, che coltiva sogni e per farlo obbedisce al principio “Fai quel che devi, qualunque cosa accada”, è l’oppositore russo Ilya Yashin, condannato a 8 anni e mezzo lo scorso 9 dicembre per aver raccontato quello che l’esercito russo ha fatto a Bucha.
Commentando la sentenza ha detto, tra le altre cose, che condannandolo a 8 anni e mezzo il giudice e il regime che ne è il mandante hanno dimostrato di essere ottimisti rispetto alla sorte di Putin. Non lo avrà detto solo per sdrammatizzare la durezza della condanna, ma perché sogna di poter uscire dal carcere prima del giugno del 2031 confidando che, anche grazie a quello che sta facendo, i suoi concittadini diventino più forti del regime di Putin e siano nelle condizioni di liberarsene prima dello scadere della sua detenzione.
Anche per questo è necessario esigere – e la petizione “Putin all’Aja” per Radicali Italiani è anche un modo per fare questo – che la comunità internazionale intensifichi i suoi sforzi per continuare a sostenere la piena affermazione dei diritti dell’Ucraina, dei suoi cittadini e delle istituzioni che legittimamente li rappresentano, respingendo l’idea che ora ci sarebbero le condizioni per avviare una trattativa o, peggio, che quella trattativa potrà iniziare quando Putin accetterà di farlo e alle condizioni che vorrà ( e che potremmo accettare). Ma respingendo anche la tesi – pur sostenuta in buona fede da molti – che la trattativa si aprirà quando le istituzioni ucraine, cui sarebbe rimessa questa scelta, decideranno di farlo o “ci” concederanno di avviarla.
Non può essere rimessa alle vittime la fine della violenza che sono costrette a subire, è la comunità internazionale e chi deve tutelare l’ordine internazionale che deve articolare e moltiplicare gli sforzi perché quello che si sta facendo diventi efficace, le azioni militari e di terrorismo energetico di Putin vengano fermate, e chi le ha promosse e ordinate sia disarmato e consegnato alla giustizia.
Nelle circostanze date, infatti, va tenuto presente non soltanto che non ci può essere pace senza giustizia, ma anche che finché c’è Putin e finché le sue azioni criminali – che come ha ricordato il primo ministro in esilio della Repubblica Cecena d’Ichkeria Akhmed Zakayev nel suo intervento al Congresso sono iniziate quando Eltsin lo nominò premier nel 1999 – resteranno impunite, c’è e ci potrà essere guerra.