La protesta della magistratura associata contro la riforma ordinamentale della separazione delle carriere ha assunto forme e contenuti preoccupanti, a tratti eversivi, difficilmente conciliabili con il senso di responsabilità istituzionale che ha consentito ai togati di preservare un minimo di credibilità nel Paese. L’assedio dei Tribunali che si è realizzato in occasione dell’astensione dalle udienze proclamata dall’Anm ne è un chiaro esempio. Aule occupate da giudici e pubblici ministeri impegnati a recitare i soliti slogan, con al seguito un nutrito numero di cancellieri, commessi, addetti all’ufficio del processo e polizia giudiziaria, reclutate più o meno spontaneamente a formare la claque.

In disparte la data inopportuna - Il 27 febbraio ricorre l’anniversario della morte di Rocco Greco, imprenditore siciliano che dopo aver denunciato i suoi aguzzini ed essere stato assolto dall’accusa di partecipazione in associazione mafiosa, si è tolto la vita per liberare (se stesso) e la sua famiglia dalla persecuzione giudiziaria realizzata attraverso lo strumento di prevenzione dell’interdittiva antimafia - occorre ammettere che nel difendere i privilegi di casta la magistratura ha dato prova di possedere energie e potenza comunicativa fuori dal comune. Peccato non siano mai state spese a favore dei cittadini, ad esempio per porre un argine alla vergogna del sovraffollamento e dei suicidi in carcere o per contrastare le iniziative legislative illiberali che si sono succedute costantemente negli ultimi decenni, o ancora per limitare gli effetti perversi degli errori giudiziari.

La Magistratura, senza controlimiti o forma di responsabilità, ha beneficiato dell’asservimento della politica ai suoi desiderata, ostentando un’investitura popolare inesistente, anche quando il credito fiduciario nei suoi confronti era ai minimi termini, e per questo non tollera che il governo abbia trovato la forza di allineare l’ordinamento giudiziario alla Costituzione inverando il “giusto processo” venticinque anni dopo la modifica dell’art. 111 della Costituzione.

Ordinamento giudiziario e Costituzione sono consustanziali, come ben avevano compreso i padri costituenti nel prevederne la conformità necessaria con la VII delle disposizioni transitorie e finali. La magistratura associata, quella che governa le correnti, ha un lucroso interesse a mantenere lo status quo. Il pubblico ministero ha il potere di decidere chi e su cosa indagare, chiedere e ottenere nella quasi totalità dei casi l’emissione di misure cautelari personali e patrimoniali, limitare sia pur temporaneamente la libertà personale e patrimoniale degli individui, domandare la condanna dell’imputato e impugnare le assoluzioni, promuovere l’applicazione di misure di prevenzione, governare la fase esecutiva della pena; i pm hanno inoltre ampi poteri nel processo civile, nel quale è esente da preclusioni e soccombenze, oltre che - altro fenomeno inquietante - si trasforma in Giudice ( con altra retribuzione) nel processo Tributario.

Il giudicante, dal canto suo, affetto simultaneamente dalla sindrome di Stoccolma e di Hubris, non intende emanciparsi da un collega così forte dentro e fuori il Csm, dentro né fuori le aule di giustizia. Entrambi, infatti, ambiscono a fare carriere e l’unione delle carriere è fondamentale. Per i meno bramosi, la certezza di non subire intralci nelle valutazioni di professionalità, il cui esito positivo nel 99,2% dei casi, nonostante gli oltre 31 mila errori giudiziari negli ultimi trent’anni, dimostra. Tradotto: massimo livello, massima retribuzione, minimo sforzo.

A queste condizioni, poco importa che le coordinate costituzionali che regolano il cruciale rapporto tra potere coercitivo e diritti fondamentali delle persone siano alterati e che a subirne le conseguenze siano quest’ultimi. La pretesa della magistratura associata e dei suoi sostenitori è di conservare, a ogni costo, l’attuale assetto ordinamentale. Al di fuori dagli interessi corporativi della categoria, la riforma è osteggiata da chi per calcoli elettorali o di potere si giova di un disequilibrio ordinamentale che investe i “fondamentali” del “giusto processo” e cioè quelle precondizioni in assenza delle quali le garanzie previste dai codici si trasformano in forme vuote di contenuti, inidonei a controllare l’esercizio del potere repressivo dello Stato.

Ed allora, chiunque e da qualunque prospettiva, al netto di interessi particolari, non può non comprendere quanto sia indifferibile separare le carriere tra magistrati requirenti e giudicanti, realizzando le condizioni minime per attuare finalmente il “giusto processo accusatorio” nell’interesse unico dei cittadini.