Gentile Ministro Carlo Nordio, questa lettera potrebbe esserle indirizzata da Renato Brunetta, attuale presidente del Cnel, già ministro della Funzione pubblica e storico esponente della parte libertaria di Forza Italia, ma soprattutto impegnato al suo fianco nel progetto “Recidiva zero”, un programma che, tramite l’inclusione lavorativa dei detenuti, non solo recuperi il condannato, ma risarcisca le vittime e la società attraverso la caduta della recidiva. Vasto programma? No, se la teoria ha la forza di darsi tempi certi e investimenti sicuri. Lei, signor Ministro, nella sua intervista a Libero dello scorso 28 dicembre, ha posto al centro del Piano del suo dicastero – in contrapposizione alla speranza di amnistia e indulto avanzata da Papa Francesco quando, fatto inedito, ha aperto una Porta Santa nel carcere di Rebibbia – lo scopo di “umanizzazione della pena”. E ha annunciato che il governo sta lavorando sull’incremento di “attività culturali, lavorative o sportive dentro il carcere” così come su “modalità diverse dai penitenziari per scontare il proprio debito con la giustizia”.

Purtroppo questo nobile programma, cui si aggiunge quello di costruzione di nuovi istituti di pena e di ristrutturazione di quelli già esistenti ma fatiscenti, non è stato ancora reso concreto da qualche data di scadenza e quantificazione degli investimenti previsti. Così, il senso della sua intervista rischia di assumere una non voluta sensazione di astratto già visto. Nobili intenzioni, ma nel frattempo? Nel frattempo il 2024 si chiude con 89 suicidi tra i detenuti e 6 tra gli agenti di polizia penitenziaria, oltre a 243 prigionieri deceduti di “morte naturale”.

Nessuno dovrebbe morire in carcere, dice il presidente Renato Brunetta, in un articolo sul Sole- 24 Ore del 29 dicembre. E questi istituti, aggiunge “diventano luoghi in cui l’obiettivo della pena si capovolge nel suo opposto. Anziché risarcire le vittime e la società, si cade in una crudeltà che è solo un simulacro di giustizia, mentre la deterrenza viene tradita, trasformando la detenzione in una scuola del crimine. Certezza di recidiva, per l’appunto, esattamente il contrario del proposito iniziale”.

Il punto è centrato, è l’argomento forte della tendenza securitaria ma a volte anche più banalmente dell’ignoranza di chi evoca la “certezza della pena” e la protezione delle vittime dei reati come argomento per non affrontare il problema di una società sempre più “carcerocentrica”, addirittura con quell’anticipazione di pena “in vinculis” che è diventata la custodia cautelare. La qualità della sanzione, la pena appunto, è essenziale per la protezione della società intera, prima ancora che dei diritti di ogni singolo condannato. E non è un caso, sottolinea Brunetta, che la Costituzione con l’articolo 27 ponga in primo piano l’aspetto della funzione rieducativa del detenuto. Lo ricorda anche, nell’intervista del 29 dicembre al Giornale, la timida ma significativa apertura del Presidente del Senato Ignazio la Russa, la cui cultura gli impone di ricordare che comunque è importante che il condannato “migliori ma contemporaneamente paghi la sua colpa”. Se non riusciamo in questi intenti, conclude La Russa, “a volte è corretto rifugiarsi in amnistie o piccoli indulti”.

Ecco le parole impronunciabili, amnistia e indulto, le antiche storiche gloriose battaglie del mondo radicale e pannelliano, ma anche liberale e libertario di una parte ormai dimenticata della sinistra, del mondo laico e socialista e di Forza Italia con Silvio Berlusconi. Bandiera storica anche di una parte del mondo cattolico e oggi di Papa Francesco, con quel suo gesto solenne sulla soglia di Rebibbia. Bandiera raccolta da Fabio Pinelli, vicepresidente laico del Csm, che dalle colonne di Avvenire ha proposto di “ragionare, tutti insieme, sulla possibilità di un ‘indulto parziale’, ovviamente che non riguardi i delitti di criminalità organizzata, per affrontare l’emergenza nazionale di un sovraffollamento carcerario di oltre 11mila detenuti sulla capienza prevista e che incide sul rispetto della dignità delle persone e sulle condizioni di lavoro della polizia penitenziaria”.

Ecco qual era l’anello mancante. Sembra dirlo proprio a Lei, signor Ministro Guardasigilli, il presidente del Cnel Renato Brunetta, nel ridefinire il programma di reinserimento e anche sfollamento delle carceri che state elaborando insieme. “L’ipotesi di un indulto parziale – scrive sul Sole- 24 Ore – che coinvolga i detenuti per i reati meno gravi, cioè coloro che il lavoro può recuperare alla società e il carcere invece può cronicizzare in professionisti criminali, realizza almeno quattro obiettivi: umanizzare le carceri, concorrere ad abbattere la recidiva, risarcire vittime e società, produrre ricchezza. Una pena così ‘ certa’ realizzerebbe i propri effetti - retributivi, deterrenti e, naturalmente, rieducativi- in una visione d’insieme, la sola vincente, indirizzando la capacità punitiva dello Stato verso un obiettivo di inclusione sociale. Ma soprattutto non avrebbe controindicazioni politiche”.

Obiezione: ma dove si può trovare una maggioranza che voti questo “indultino” in Parlamento? La trovi Lei, signor Ministro, ne ha l’autorevolezza e le capacità. Certo, non spira proprio un venticello di ottimismo, se addirittura dalle parti di Forza Italia il portavoce Raffaele Nevi ha detto il suo No, con voce dal sen fuggita, forse non in modo definito, se riflette un attimo sulla storia del proprio partito. E se, dopo l‘ entusiastico Sì del senatore del Pd Filippo Sensi, la responsabile Giustizia Debora Serracchiani in una nota congiunta con i capigruppo in commissione di Senato e Camera, Alfredo Bazoli e Federico Gianassi, e con il capogruppo in Antimafia, Walter Verini, ha pronunciato un “ragioniamoci” che sa più di opposizione che di autentica disponibilità. Tutto vero, e lasciamo perdere per un attimo il sottosegretario Andrea Delmastro e i gruppi dei Cinque Stelle, gli irrecuperabili. Ma noi pensiamo che Lei, Signor Ministro, nella sua agenda dei primi giorni di gennaio dovrebbe segnare proprio la proposta Pinelli- Brunetta. Perché se la sua cultura è, come sappiamo, l’opposto del “buttiamo la chiave”, non può essere neanche quella della “certezza della pena” prima di averla riformata, la pena. E averla “umanizzata”, come da vasto programma.