PHOTO
Dopo quasi due mesi di lockdown, dal 4 maggio saranno considerati necessari gli spostamenti per incontrare «i congiunti». Quella che sulla carta era una strategia del governo per allentare la quarantena ha scatenato le ire di tutti: dall’Arcigay a Italia Viva, dal Pd alla Lega. Alla base del problema, chi sono da considerarsi “congiunti”. Il termine non è giuridico e si è prestato a ogni sorta di fraintendimenti. Alla fine di una giornata di passione, la ministra della Famiglia, Elena Bonetti specificato i “congiunti” sono anche «fidanzati e coppie di fatto». Da Palazzo Chigi, invece, trapela l’interpretazione di “congiunti” come “affetti stabili”.In ogni caso, il punto di inciampo è sempre lo stesso: i diritti. O la loro disparità. Al netto della polemica, il nodo rimane il metodo. I diritti sono un bene prezioso quanto delicato, garantito anzitutto dalla gerarchia delle fonti e dalla precisione nella stesura delle norme. Invece, il ricorso continuo al Dpcm - atto amministrativo senza alcun vaglio parlamentare - dimostra tutti i suoi limiti strutturali. Una norma che che tocca così intimamente la sfera degli affetti meritava forse un passaggio più accurato, magari in un’Aula parlamentare in cui qualcuno si sarebbe posto il legittimo dubbio di chi siano i “congiunti” secondo lo Stato italiano. Invece, da oggi bisogna chiedersi se i nostri affetti più cari cadano nella casella giusta per le visite, secondo la gerarchia del premier Conte.