La morte di Salvatore Piscitelli, uno dei nove detenuti deceduti durante (e dopo) le rivolte dell’8 marzo 2020 avvenute al
carcere di Modena, non può finire archiviata. Non solo per l’oggettivo ritardo nel soccorrerlo, ma anche per il contesto dove emergerebbe una indicibile
violenza e torture dove sarebbe rimasto coinvolto anche Piscitelli stesso. Per questo motivo, e non solo, l’avvocata Simona Filippi, nella qualità di difensore di fiducia dell'Associazione Antigone onlus rappresentata legalmente dal presidente Patrizio Gonnella, “persona offesa” nel procedimento penale, ha depositato l’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dalla procura di Ascoli Piceno.
Per la procura non sono ravvisabili profili di responsabilità degli indagati
Come
già riportato da Il Dubbio, secondo il Pubblico ministero, il procedimento deve essere archiviato in quanto non sono ravvisabili profili di responsabilità in capo agli indagati per la morte di Piscitelli poiché la eventuale anticipazione dei soccorsi anche di due ore avrebbe garantito delle “possibilità” di sopravvivenza «ma non concrete ed effettive probabilità di sopravvivenza, essendo la situazione del detenuto compromessa». In sintesi, per la procura ascolana è accertato che c’è stato un oggettivo ritardo nel soccorrerlo, ma non è possibile effettuare un giudizio prognostico in termini di concrete probabilità di sopravvivenza se i soccorsi si fossero attivati con maggiore tempestività. Non può essere liquidata così la questione. Nella richiesta di opposizione, l’avvocata Filippi di Antigone sottolinea che bisogna innanzitutto soffermarsi sull’analisi di questi aspetti: «La gravità delle condizioni di salute in cui versava Piscitelli già al carcere di Modena al momento del trasferimento e dell’arrivo presso la Casa circondariale di Ascoli Piceno, le lesioni riscontrate in sede di esame autoptico e la ricostruzione degli orari in cui si sono sviluppati i fatti».
Il racconto del compagno di cella a Modena
Infatti, come già riportato in esclusiva su Il Dubbio, sono stati ascoltati
diversi detenuti che hanno tutti confermato la gravità delle condizioni fisiche di Piscitelli già dal momento della partenza dal carcere Sant’Anna di Modena. In particolare c’è la dichiarazione di un detenuto che condivideva la cella con Piscitelli presso Modena e che con lui starà nel corso della rivolta e che, infine, con lui condividerà la cella anche presso il carcere di Ascoli Piceno. Cosa racconta? Parte dal famigerato stanzone della caserma attigua al carcere di Modena dove sarebbero stati ammassati una ottantina di detenuti e dove sarebbero, appunto, avvenute violenze e abusi da parte di alcuni agenti provenienti anche da altri penitenziari come quelli di Bologna e Reggio Emilia. Secondo la ricostruzione offerta da questo detenuto, quando lo stesso si trovava presso la caserma del carcere di Modena a seguito della rivolta, trascorsa circa una mezz’ora giungeva anche Piscitelli che «tremava» e che gli aveva detto «mi hanno picchiato». Durante il tragitto per il carcere marchigiano, ha condiviso con Piscitelli la cella all’interno del furgone e ha evidenziato che le condizioni di salute del compagno erano già compromesse in maniera evidente: «Durante il viaggio, Piscitelli non c’era più, era con la testa per terra, non rispondeva e faceva solo un piccolo verso; ho chiamato l’assistente e gli ho detto che non stava bene e lui ha detto testuali parole “quando arriviamo lo sistemiamo”».
Ad Ascoli il Capo posto gli avrebbe risposto «lasciatelo morire»
Una volta giunti a destinazione, il detenuto sentito dalle pm di Modena, racconta che è stato prima messo in una cella differente per poi essere spostato, dietro sua richiesta, ed essere portato nella cella n.52 dove appunto si trovava Piscitelli. Quando è entrato nella cella, testimonia di aver trovato il compagno con delle “chiazze” in testa, lo chiamava ma lui non rispondeva. Specifica poi che, tra le 8.30 e le 10.30, ha più volte chiesto aiuto sia all’assistente che al lavorante e il Capo posto gli avrebbe risposto «lasciatelo morire». Alle 10.30, sempre secondo la ricostruzione offerta, Piscitelli era diventato «pallido e freddo e si sentiva puzza di cacca e pipì». C’ è anche un altro detenuto, sempre sentito dalle pm, che era presente durante la visita medica effettuata a Piscitelli al momento dell’ingresso in carcere e ha riferito che lo stesso «camminava come una persona ubriaca», «barcollava» e «biascicava». Sempre lui è il detenuto al quale un agente ha chiesto di rifare il letto a Piscitelli in quanto il detenuto non era in grado di provvedere. Conferma che, nel corso della notte, l’altro detenuto si era lamentato e aveva chiesto aiuto. Un altro recluso ancora, anche lui trasferito da Modena ad Ascoli Piceno, ricorda di aver visto Piscitelli che non riusciva a camminare «tanto era fatto di farmaci e metadone». Parliamo sempre dello stesso detenuto che ha raccontato di aver visto picchiare Piscitelli nel famigerato stanzone della caserma attigua al carcere di Modena.
L’opposizione: non si è tenuto conto di circostanze e spunti investigativi
Nell’opposizione alla richiesta di archiviazione, viene evidenziato che dalla consulenza disposta dalla Procura per accertare la causa della morte di Piscitelli sono emersi dei segni di lesioni. Di fatto, la Procura non ha tenuto conto di alcune circostanze emerse dagli atti di indagine e di alcuni spunti investigativi che necessitano di approfondimento. «A partire – si legge nell’opposizione all’archiviazione - dall'accertamento delle condizioni di salute di Piscitelli al momento del suo arrivo e dell'intera permanenza presso il carcere di Ascoli Piceno sino ad una più attenta valutazione del comportamento tenuto dal medico al momento della visita effettuata nel corso della mattinata del 9 marzo 2020». Non solo. Emerge un’errata valutazione delle condizioni di salute di Piscitelli al momento del suo arrivo al carcere di Ascoli Piceno. Dagli atti delle indagini – come già riportato da Il Dubbio - emerge che, già dal momento dell'ingresso nel carcere marchigiano, le condizioni di salute di Piscitelli erano compromesse e che, pertanto, la visita medica cosiddetta di “primo ingresso” appare effettuata in maniera approssimativa e superficiale. Non solo. Emerge che le sue condizioni fisiche erano compromesse non soltanto per l'avvenuta assunzione di metadone ma anche per le presunte violenze subite nel carcere modenese come rappresentato dai detenuti ascoltati e come emerso anche in sede di esame autoptico.
Resta la speranza di un intervento della Corte Europea dei Diritti Umani
Ci sono molti punti da chiarire ancora. Tutti messi nero su bianco dall’opposizione all’archiviazione: «Accertare, con integrazione di consulenza, se la terapia (“Narcan”) praticata a Salvatore Piscitelli nel primo intervento in cella da parte del medico poteva essere effettuata con modalità differenti; accertare, con integrazione di consulenza, se, sulla base di tutti gli elementi di indagine raccolti, Piscitelli doveva essere ricoverato presso il nosocomio già al momento della visita di primo ingresso; accertare quali erano le condizioni di salute di Piscitelli al momento della partenza dalla Casa circondariale di Modena; sentire il detenuto “Nadar” il quale, nel corso della mattinata del 9 marzo 2020, avrebbe visto il Piscitelli emettere gemiti e, per questo, avrebbe chiesto all'appuntato di chiamare un medico e quest'ultimo gli avrebbe riferito di “lasciarlo morire”». La morte di Piscitelli, “Sasà” per gli amici compagni di cella, grida ancora vendetta. Così come le altre morti, che però sono state definitivamente archiviate. Rimane, in questo caso, aperta la speranza di un intervento da parte della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo.